Negli anni 80 la signora Bruntland, commissario europeo all’ambiente, aveva coniato il termine di sviluppo sostenibile inteso come la capacità di creare uno sviluppo economico che non esaurisse le risorse disponili sì da lasciare la possibilità alle generazioni future di costruire una loro economia. Perché l’uomo ha sempre costruito la propria vita con lo sfruttamento delle risorse naturali; dapprima come gli altri animali prendendo frutti, vegetali e animali e poi in maniera organizzata, dopo l’introduzione dell’agricoltura. Con essa inizia la rivoluzione, per alcuni l’unica avvenuta sul pianeta, che produce una profonda modificazione. Intanto l’uomo impara che può dominare la natura e costringerla a fornire più alimento, così aumentano le possibilità di vita e più individui possono abbandonare le attività di ricerca del cibo per impegnarsi in un lavoro intellettuale. Molto presto si sono viste sia le ricadute positive, la possibilità di mantenere un numero più elevato di individui sul pianeta e migliorare le condizioni di vita, sia quelle negative, cioè il consumo delle risorse. Fin dal Medio Evo vi era stata la dimostrazione di questo indirizzo. A quel tempo l’aumento della popolazione umana ha richiesto maggiori fonti energetiche, fornite allora esclusivamente dal legno, un maggior bisogno di navi e di abitazioni e la necessità di avere più terreni coltivabili per sfamare più persone, ne è pertanto conseguita la distruzione di quella foresta che copriva praticamente tutta l’Europa.

La fortunata sintesi della Bruntland, quindi, sottolineava semplicemente quello che si stava verificando: la crescita esponenziale della popolazione umana e l’enormemente accresciuta capacità di intervenire sulla natura da parte dell’uomo pongono problemi di utilizzo senza spreco e di non esaurimento delle risorse. Quello che poteva sembrare un semplice monito diventa reale con la crisi energetica degli anni 70. Improvvisamente e bruscamente viene richiamata l’attenzione proprio sull’esauribilità delle risorse.

Oggi il problema dello sviluppo sostenibile è diventato un tema mondiale, che coinvolge molteplici fattori. Un problema è quello dell’aumento della popolazione mondiale, destinata ad arrivare alla cifra di 10 miliardi nel giro di una cinquantina di anni; un altro è la realizzazione di sistemi produttivi sempre più aggressivi nei riguardi delle risorse naturali, un’ulteriore sono le enormi quantità di rifiuti prodotti. E questo si realizza in una parte minoritaria della popolazione, quella occidentalizzata, mentre la maggior parte, numericamente, delle persone vivono ancora in sistema pre industriali o di bassa industrializzazione.

Nè deve indurre in errore il fatto che nel mondo occidentalizzato si parli di fase post industriale, perché l’evoluzione è sì verso sistemi imprenditoriali leggeri ma la maggiore leggerezza è tutta di organizzazione e di organici perché la produzione di beni materiali aumenta comunque. Sono nate in verità attività legate al mondo della comunicazione e di internet, molte però si occupano di commercializzazione e vendita per cui non vanno a diminuire l’impatto della produzione materiale.

Il sistema economico attuale dei paesi occidentalizzati non ha preso totalmente coscienza del problema dell’esauribilità delle risorse. Il costo dell’uso delle materie prime, dei rifiuti che ne conseguono, dell’inquinamento che si produce non rientra mai nel calcolo costo/benefici delle diverse attività produttive.

L’impronta ecologica, serve bene per rappresentare questa situazione, cioè la quantità di superficie terrestre che serve per mantenere le abitudini di vita, personali e sociali, dei cittadini del mondo.

Così misurando le categorie alimenti, abitazioni, trasporti, beni di consumo, servizi, risulta un'"orma" per gli statunitensi pari a 6,2 ettari pro capite, mentre l'"impronta" media italiana è pari a 3,11 ettari e quella media del mondo è pari a 1,8 ettari.

L’insostenibilità del sistema attuale è ormai denunciata da molte voci ed è legata alle scelte produttive che si continuano a fare. Solo per quanto riguarda l’energia, la cui crisi è stata il primo campanello d’allarme, si sono messe in opera soluzioni alternative a quelle tradizionali gravemente depauperanti le ricchezze naturali, peraltro di portata limitatissima per quanto riguarda le percentuali di realizzazione. Così si sono ideati sistemi di fonti rinnovabili di energia, quali il solare l’eolico, le biomasse e, nel futuro, si conta molto sullo sfruttamento dell’idrogeno. Comunque la situazione progredisce troppo lentamente e non nel segno a sostenibilità. Le industrie produttrici di beni materiali, come le automobili, sono ancora ai primissimi posti dell’economia mondiale, ugualmente si può dire per quelle chimiche e così pure sono elementi fondanti la realizzazione di infrastrutture, le costruzioni edili civili e industriali.

L’insostenibilità del sistema attuale è dovuta a più elementi. Innanzi tutto si deve considerare che l’ambiente in cui l’uomo si trova ad operare, il pianeta, per quanto vasto, è una superficie limitata, con risorse non illimitate: non sono infiniti il suolo l’acqua l’aria e le materie prime che lo compongono, anche se di alcune non se ne vede una carenza nel prossimo futuro.

Acqua, aria superficie terrestre sono aggredite e minacciate.

L’acqua sta andando incontro ad un rapido esaurimento. Gran parte della responsabilità va attribuita ai sistemi di vita occidentalizzati, grandi dissipatori di acqua per usi personali e produttivi. L’agricoltura, con l’allevamento, vive soprattutto grazie alle irrigazioni, che richiedono circa il 70 per cento di tutta l’acqua usata; le stesse industrie non adottano risparmi. L’acqua è a rischio per l’inquinamento, perché dopo il suo uso essa peggiora in qualità: tipico è l’utilizzo agricolo dove si mescola con sostanze chimiche usate nella coltivazione dei campi e con le deiezioni degli animali allevati, caricandosi di sostanze inquinanti, come azoto fosforo potassio.

Il terreno agricolo, che dovrà fronteggiare le richieste di un numero esponenzialmente crescente di individui, va anch’esso diminuendo, nei paesi occidentalizzati, dove le monocolture esauriscono l’humus e portano così all’inaridimento, come si può già constatare in pianura padana. Se a ciò si aggiungono le enormi superfici che si vanno desertificando per mancanza di acqua, ecco che la superficie terrestre, seppur ancora molto ampia per le necessità dell’uomo odierno, non dimostra una capacità di poter assorbire facilmente l‘incremento di popolazione che verrà.

Altro elemento che sta esaurendosi per inquinamento è l’aria che si sta caricando di sostanze tossiche nocive e inquinanti.

Vi è ancora da considerare l’esaurimento in senso fisico della superficie. Le civiltà occidentali si basano su uno sviluppo della infrastrutture con costruzione di strade, vie ferrate, case abitate, industrie, che sottraggono spazio.

L’occidente ha la grave colpa di proporre un modello da seguire a tutto il mondo dei paesi poveri, visto come punto di arrivo per quei cinque miliardi di persone che vivono ad un livello più basso. Però se questi adottassero gli stessi sistemi degli occidentali in materia di alimentazione, spostamento con le auto e con gli aerei, spreco di acqua, inquinamento dell’aria, il pianeta non potrebbe sostenerlo.

Non si tratta di pensare che questi problemi non ci tocchino come italiani o come europei. La nostra società, seppure in maniera meno distruttiva di quella statunitense, aggredisce l’ambiente naturale e ne dissipa  le risorse.

I paesi occidentali o ricchi sono responsabili anche dell’operato del Fondo Monetario Internazionale, che interviene ogni qual volta vi sia un problema economico nei paesi poveri per concedere prestiti. In queste occasioni l’organismo richiede l’adeguamento dei sistemi produttivi locali ai principi del liberismo occidentale, cioè privatizzazione delle strutture e degli enti pubblici, come scuola, sanità, risorse idriche, ecc. e l’accettazione dei principi del libero mercato. In questo modo si incentivano le industrie occidentali ad impiantare stabilimenti produttivi per utilizzare mano d’opera a bassissimo livello salariale e ad altissimo sfruttamento per quanto riguarda la mancanza di garanzie sociali e orari di lavoro. Approfittando dei bassi livelli di controllo pubblico e sociale molto spesso le produzioni sono quelle più inquinanti e dissipatrici di risorse, delocalizzate dall’occidente ricco.

Vi sono ormai elementi oggettivi che dimostrano come l’attuale sistema produttivo realizzi sistemi produttivi gravemente insostenibili.

Uno è sicuramente quello legato al ciclo dell’anidride carbonica, della cui importanza ci si è resi ormai conto a livello planetario. I tentativi di accordo sulle emissioni denunciano come il problema sia diventato sempre più grave. L’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera con la creazione di quello che viene detto effetto serra e il conseguente aumento della temperatura della terra nasce dal fatto che il ciclo dell’anidride carbonica è uno dei cicli che sostengono la vita sul pianeta e che è regolato da leggi naturali ben conosciute. In pratica l’anidride carbonica, prima dell’intervento dell’uomo, aveva un ciclo fisiologico per cui frazioni di essa si spostavano dall’atmosfera alle terre e agli oceani e viceversa. Il principale meccanismo del suo movimento era dato dalla creazione della stessa, ad esempio dalla respirazione dei mammiferi e dalla traspirazione delle piante, e si sapeva che l’unico mezzo di diminuzione della stessa erano le piante vive che, di giorno, con la sintesi clorofilliana la legano alle proprie cellule. Viceversa di notte le piante respirano come i mammiferi e sprigionano anidride carbonica. È anche noto che le piante, quando vengono utilizzate e bruciate restituiscono all’atmosfera quella che hanno incorporato. Il processo non ha mostrato grandi problemi fino all’avvento dei carburanti fossili. Se anche nel passato sono stati utilizzati grandi quantità di legna che hanno elevato la quantità di CO2, questo non aveva provocato dei cambiamenti negli equilibri atmosferici. Invece le enormi quantità di carburanti fossili utilizzati negli ultimi cinquanta anni hanno aumentato a dismisura la presenza dell’elemento nell’aria fino a destare le preoccupazioni attuali che si concretizzano nel fatto che la maggioranza di studiosi ritiene che si debbano mettere in atto misure per  diminuire le emissioni di questo gas, pena l’aumento di temperatura del pianeta con cambiamenti catastrofici di clima, aumento del livello dei mari, sconvolgimento del profilo delle superfici emerse con scomparsa di grandi porzioni di terreno.

 

Un altro elemento chimico oggettivamente pericoloso e rilevabile è la diossina, o meglio le diossine in quanto si tratta di una famiglia di composti chimici che sono dipendenti da alcune produzioni chimiche a base di cloro e dalla distruzione dei rifiuti tramite incenerimento. Per dare un’idea della dimensione del problema si può ricordare che esse, di cui si riconosce la cancerogenicità, sono state trovate anche nei ghiacci del polo. La quantità di base presente nell’ambiente è in continuo aumento e le amministrazioni pubbliche reagiscono essenzialmente elevando i limiti di tollerabilità.

Un altro dato oggettivo segnalatore di problemi ambientali è il buco dell’ozono, che si sta allargando e che indica come parimenti vada aumentando in atmosfera di quei gas, come il fluoro, che lo causano. Sovente le imprese inquinanti, che lo causano, vengono dislocate dai paesi occidentalizzati verso i paesi del terzo mondo, come se la terra non fosse una sola.

 

In Italia, oltre alle problematiche condivise con gli altri paesi occidentalizzati, abbiamo una prerogativa specifica: l’antropizzazione elevatissima che porta ad un consumo spregiudicato della risorsa terreno. La superficie disponibile non è ampliabile e non è infinita, e le scelte che si fanno in tema di urbanizzazione, infrastrutturazione, imprenditorialità incidono anche pesantemente sulla disponibilità della superficie. Vi è da dire però che quello che si sta verificando in Italia potrebbe, in tempi più o meno lunghi, verificarsi in molti altri paesi perché la crescita demografica e l’attuale modello di sviluppo tendono a realizzare ovunque queste stesse condizioni.

 

L’analisi, seppur sommaria, presentata, che può essere approfondita a piacimento con la consultazione di testi sull’argomento, porta ad un giudizio condivisibile: il modello produttivo occidentale, basato su di un continuo sviluppo produttivo è incompatibile con il fatto che le risorse del pianeta non sono infinite ma limitate, come segnali oggettivi già denunciano. Ma in chiave futura è ancora più insostenibile perché se fosse adottato da tutti i paesi produrrebbe effetti catastrofici. Eppure è talmente presente nell’ambito delle decisioni politiche che è consuetudine rappresentare le fortune (o le sfortune) di una nazione mettendo al primo posto il PIL che, per come è valutato si basa soprattutto sulla crescita della produzione industriale, cioè su di un aumento costante delle merci e conseguentemente sul consumo delle risorse. Quindi è necessario ed indispensabile pensare a modelli alternativi di sviluppo, uno sviluppo senza crescita, una economia che sappia produrre benessere senza obbligatoriamente aumentare la capacità di produrre beni materiali o di creare sempre nuovi bisogni di oggetti, dalla cui soddisfazione discende un aumento dei consumi e delle produzioni su di una scala espandentesi all’infinito.

Economia perciò senza crescita produttiva per non fare del paradigma della produzione crescente il solo mezzo per creare benessere alle popolazioni, per trovare altre strade per conciliare una evoluzione economica che sia compatibile con la finitezza delle risorse disponibili, come unico modo per non tradire il principio dello sviluppo sostenibile e non privare le generazioni di una possibilità di vita.

È necessario conciliare economia e benessere delle persone con l’ambiente, consci l’ambiente sostiene la vita e non viceversa. Se distruggeremo le risorse naturali presto o tardi ci dovremo accorgere che non potrà esistere l’economia stessa.

 

La scelta d’indirizzo che inevitabilmente si dovrà fare sarà quella di considerare le linee di sviluppo che dovranno incominciare a valutare la costruzione di una economia senza più esaurire le materie prime. Sono quelle linee di sviluppo che vengono definiti come eco-lavoro e il primo esempio viene dalle industrie per il recupero e il riciclo delle materie prime. Così come fondamentale sarà l’impegno e il lavoro legato al disinquinamento. Quindi tutte le attività legate al turismo cosiddetto dolce, poco inquinante, e al recupero, valorizzazione e salvaguardia delle risorse naturali e dei patrimoni artistici. Questo si collega direttamente al fatto che nel futuro si prevede che vi sarà una maggior quantità di tempo libero disponibile per un numero crescente di persone, in conseguenza del mutamento delle tipologie produttive che libereranno l’uomo da una serie di incombenze lasciandogli quindi più tempo a disposizione. Individuare pertanto individuare situazioni in cui egli possa vivere questo tempo in maniera ambientalmente corretta non è una proposta antistorica e va nel senso di aumentare le possibilità di lavoro non aggressivo nei riguardi della natura. Altri indirizzi sono legati alla valorizzazione di quelle attività a basso consumo di energia e di materiali, come attività agrituristiche, artigianali, agricoltura e allevamento biologici.

Non si tratta di fare solo opposizione frontale o di denunciare i guasti dell’attuale sistema economico, si devono proporre soluzioni positive, già possibili, che salvano l’ambiente e l’economia. Su questa linea è basilare l’impegno della politica che deve riappropriarsi del ruolo di indirizzo, semplicemente facendo leva sui finanziamenti che pertanto, invece di sostenere principalmente le imprese produttrici di tipo impattante, deve rivolgere le proprie attenzioni verso tipologie produttive alternative ed ecocompatibili, per dare impulso ad un circuito virtuoso.

 

 

 

 

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