Per cercare di frenare l’epidemia in corso che ha colpito l’Inghilterra, e di li si è diffusa a quasi tutta l’Europa, Italia esclusa per il momento, sono stati vietati tutti gli spostamenti di animali ad unghia fessa, almeno fino al 27 marzo prossimo. Cosa accadrà dopo tale data? Possiamo prevedere che  facilmente il divieto sarà rimosso in quanto preme alle porte il rito pasquale con la conseguente abbondantissima uccisione di agnelli e  di capretti ed è noto che in Italia è necessaria una importazione valutabile ad oltre il 50% del necessario. Per questo, si può esserne certi, vi sarà una fortissima azione lobbystica per liberalizzare i commerci. Le principali correnti di importazione saranno paesi extra europei, quali la Nuova Zelanda, paesi del Nord Europa più la Francia  e nazioni dell’ex Europa dell’Est. Cioè tutti paesi potenzialmente a rischio per la diffusione dell’Afta.

Il primo pensiero va al trasporti degli animali. La maggiore attenzione del momento porta a sperare che siano fatti rispettare i principi stabiliti dalle normative europee sui trasporti e che quindi siano impedite situazioni che diano luogo a sofferenza, con animali stipati in spazi troppo ridotti, senza rispettare i tempi del viaggio e  del riposo. Condizioni che quando sono gravemente compromesse danno luogo a realtà inconcepibili per una società che voglia definirsi civile, senza dimenticare che lo stress accumulato potrebbe costituire problema sanitario per gli stessi consumatori.

Esiste poi il problema sanitario. La riapertura delle frontiere costituisce un potenziale rischio di diffusione della malattia e i controlli attualmente si effettuano o alla frontiera per gli animali provenenti dai paesi extra Unione oppure nell’azienda di destinazione, ma a campione e in un numero ridottissimo di casi. La maggior parte delle verifiche è invece di tipo cartolare, cioè si basa sulla lettura dei certificati sanitari che scortano gli animali.  Neppure il 5% degli animali provenienti da altri paesi dell’Unione è sottoposto ad una visita.  La richiesta minima è che, in caso di cessazione del blocco, siano predisposti controlli che portino alla visita effettiva di tutti gli animali introdotti per escludere la presenza dell’afta. Questa richiesta è basilare per dare sicurezza ai consumatori, anche in riferimento al fatto che il desiderio dell’abbacchio pasquale potrebbe significare l’esborsi miliardari per il risarcimento degli animali eventualmente colpiti dall’epidemia. Sperando che la veterinaria italiana, da molti lodata, non ricada negli errori degli ultimi anni, quando la non presenza della BSE era, come ci rimproverava la stessa Unione europea, semplicemente incapacità di diagnosticarla. Ricordando infine che l’afta è una malattia con cui la zootecnia storica ha sempre convissuto senza grandi problemi e che è diventata micidiale solo perché gli allevamenti intensivi permettono la diffusione virulenta del morbo con più gravi conseguenze.