Versione gennaio 2013

Fino agli anni 50 pochi studi erano dedicati all'impatto ambientale degli allevamenti ma in generale pochi si ponevano i problemi dell'inquinamento ambientale. Una data significativa è il 1905 quando il Dr. Henry Santoine Des Voeux scrisse il, libro “Fog and smoke” da cui derivò poi per crasi Smog e fu il momento della scoperta dell'inquinamento atmosferico.

Le prime attenzioni al mondo agricolo si ebbero negli anni sessanta in seguito alla pubblicazione del libro di Rachel Carson nel 1962 Silent Spring, Primavera silenziosa, che di fatto diede inizio al movimento ambientalista. L'agricoltura, seppure già indirizzata verso l'uso della chimica, non aveva fino a quel momento inciso in maniera così sostanziale sugli equilibri ambientali. Nel 1964 la pubblicazione del libro “Animal machines” di Ruth Harrison in Gran Bretagna ebbe lo stesso effetto per la nascita dei movimenti di protezione degli animali. (Putting Meat on the Table: Industrial Farm Animal Production in America - A Report of the Pew Commission on Industrial Farm Animal Production). Passarono anni prima che l'argomento fosse affrontato in maniera istituzionale e così si arriva all'inizio del terzo millennio per registrare la presa di posizione dell'Onu sulle conseguenze ambientali degli allevamenti intensivi.

Si deve però prima di ragionare sulle conseguenze ambientali riflettere sul sistema della filiera agrozootecnica in generale. Più o meno contemporaneamente con le ricerche sull'inquinamento ambientale dell'agricoltura, erano espresse opinioni pubbliche di peso a favore della trasformazione sociale del sistema agricolo. Sulla scia di quanto accadeva negli Usa, anche in Europa veniva diffuso il concetto di “ingrandirsi o sparire”

“I sei contano 25 milioni di contadini, comprese le famiglie su 160 milioni di abitanti. L'ex ministro dell'agricoltura dei Paesi Bassi e vicepresidente della CEE Mansholt dichiarava recentemente che otto milioni di questi contadini dovrebbero passare a lavori non agricoli nei prossimi anni. Modernizzare l'agricoltura vuol dire infatti aumentare il rendimento unitario dei lavoratori, ridurre il loro numero per il fatto che l'accresciuta produzione richiede una meccanizzazione avanzata, e per il fatto che i redditi agricoli, presi globalmente, non sono destinati a crescere allo stesso ritmo generale dell'economia europea.

In un'economia in espansione, i settori suscettibili di sviluppo sono necessariamente l'industria e i “servizi”. L'aumento dei redditi non provoca più, nelle nostre zone sviluppate, un aumento proporzionale della domanda di beni alimentari. Se il mio reddito aumenta, acquisto una automobile, una radio, dei libri, dei vestiti faccio, un viaggio, vado a teatro, ma non aumento il mio consumo di pane, di carne, e (speriamo bene ) di vino e alcolici.Insomma affinchè i redditi agricoli aumentino allo stesso ritmo di quelli degli altri settori, un contadino su tre, prima del 1975, dovrà aver abbandonato i campi, che dovrebbero in seguito accrescer la loro produttività per un numero inferiore di produttori. L'abbandono delle campagne dovrebbe svolgersi ad un ritmo annuo del 4% mentre finora è invece del 2% in Inghilterra e dell'1,5% in Francia. In Italia, ad esempio, dov'è concentrata la più grossa massa contadina del Mec, 4,5 milioni, la fuga dalla campagna incide in realtà sul numero degli operai agricoli disoccupati, col risultato che le strutture agricole restano pressochè immutate nonostante tali movimenti. La prevista circolazione dei prodotti agricoli sarà dunque libera, con pagamento di tasse di compensazione uguali alle differenze dei vari livelli dei prezzi. (R. Braudel, L'età Moderna, 1963, ed Einaudi).

Si deve perciò guardare alle conseguenze di una simile strategia come le vediamo oggi.

La filiera agrozootecnica conosce gli stessi meccanismi di quasi tutte le catene produttive, che producono reddito nelle trasformazioni mentre la materia prima è remunerata molto poco. Gli allevatori, come i contadini, riescono a reggere il ritmo crescente del costo della vita sulla base di alcuni fattori, innanzi tutto il sostegno pubblico ai prezzi dei loro prodotti, l'aumento della superficie coltivata o degli animali allevati, e l'integrazione di altri elementi produttivi non legati direttamente alla zootecnia, quali i sistemi di produzione di biogas e i pannelli fotovoltaici.

I veterinari zootecnici sono coinvolti nel sistema ma non lo governano, sono in una posizione diversa dagli allevatori, da un punto di vista della partecipazione alla filiera, ma non sono privilegiati. Soggiaciono anch'essi ai veri gestori dei tutto il comparto agrozootecnico, le multinazionali della chimica: come gli allevatori forniscono la materia prima dell'occupazione, prescrivono sempre più farmaci, ma come quelli sono destinati a diminuire di numero, e già lo stiamo vedendo, perché se alle multinazionali interessa si mettono in atto processi per cui il lavoro manuale, quello dei contadini e quello dei veterinari viene diminuito.

Spesso i veterinari temono che qualsiasi fattore di discussione che sollevi delle problematiche legate alla zootecnia intensiva possa mettere in crisi la professionalità, senza accorgersi però che il vero problema nasce più in alto, dalle aziende che sono i motori del sistema.

Già adesso siamo tanti, ma quando sul pianeta dovremo coabitare con 9 miliardi di persone sarà impossibile mantenere per tutti le quantità di carne che arrivano oggi in tavola, ed infatti le multinazionali, che più dei governi vedono lontano, da un lato propongono di cibarsi con gli insetti e altri viventi, e dall'altro sponsorizzano velatamente il vegetarianesimo, due modi per abbassare la richiesta di carne e permettere di continuare le loro attività assai redditizie.

Però quando i problemi ambientali iniziano a rotolare se non si fermano con azioni decise e forse anche impopolari avanzano inesorabilmente ed infatti è di pochi mesi fa la decisione della Banca Mondiale di deviare i fondi per aiuti non più alla realizzazione di modelli industriali produttivi per la riduzione delle emissioni dei gas climalteranti bensì di riservarli alla ripianamento dei danni che l'innalzamento climatico previsto ormai di due gradi centigradi provocherà inesorabilmente. Dovremmo ricordarci oggi di tutte le parole che illustri scienziati hanno speso contro gli ambientalisti per criticare le ipotesi dei danni dovuti ai gas serra e pensare che i figli di quegli scienziati vivono oggi agiatamente con le risorse accumulate con quelle dichiarazioni mentre a milioni di persone tocca vivere in miseria proprio per colpa dei disastri ambientali che l'effetto serra provoca e provocherà.

Una precisazione: parlare dei problemi della zootecnia intensiva non vuol dire che questa cesserà, ma solo cercare di anticipare le derive più gravi per vedere di correggerle finchè si è in tempo.

L'impatto ambientale degli allevamenti è argomento accettato, rispetto al tempo in cui lo si criticava aspramente soprattutto da quando anche la FAO lo ha preso in considerazione.

“La stessa Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite, con il rapporto Livestock's Long Shadow - Environmental Issues and Options. "Gli animali allevati contribuiscono ai maggiori problemi ambientali d'oggi" ha preso atto del problema. Il rapporto, redatto il sostegno dell'iniziativa multi-istituzionale Lead (Livestock, Environment and Development), mostra come gli animali allevati siano un importante contributo ai maggiori problemi ambientali d'oggi; e chiede azioni urgenti e importanti. Il guaio è che a livello mondiale la zootecnia aumenta più velocemente dell'agricoltura vegetale perché le persone consumano ogni anno più carne, latte e derivati del latte. La produzione mondiale di carne era pari a 229 milioni di tonnellate nel 1999/2001 e le proiezioni la danno per raddoppiata (a 465 milioni di tonnellate), nel 2050; il settore lattierocaseario potrebbe passare, nello stesso lasso temporale, da 580 a 1.043 milioni di tonnellate. D'altro canto, l'allevamento dà reddito, principale o integrativo, a 1,3 miliardi di persone e contribuisce per il 40 percento al reddito agricolo totale. Oggi gli animali da carne e da latte rappresentano il 20 per cento della biomassa terrestre. E contribuiscono, con le loro esigenze, anche al declino della biodiversità: su 24 ecosistemi in crisi sottoposti ad analisi, per 15 il colpevole è lui, uno zoccolo o meglio tanti zoccoli o meglio chi li alleva e chi se ne nutre. (Il Manifesto, 7 dicembre 2006)

Alla domanda di carne si è potuto rispondere solo con l'intensivizzazione della zootecnia:

Nel mondo, più di 64 miliardi di animali sono allevati e macellati ogni anno negli allevamenti industrializzati. Questi rappresentano circa 2/3 della produzione di carni di pollame, il 50 % della produzione di uova, e il 42 % della produzione di carne di maiale. (State of the Word 2010)

E' doveroso però ricordare anche lo spreco di questa società:

In Italia si spreca nei campi agricoli, nelle cooperative, nelle industrie di trasformazione, nelle imprese di distribuzione, nelle case dei consumatori: si spreca il 26% del pesce, il 36 dei cereali, il 41 della frutta e della carne, il 48 verdure. Buttiamo ogni anno 3,7 miliardi di euro, il valore di una media manovra economica, lo 0,3 % del PIL. Secondo la FAO, la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire 12 miliardi di persone. (Giuseppe Salvaggiulo La Repubblica nov 2010)

CONSUMO DI TERRENI

Il consumo di suolo

Il bestiame utilizza il 30 per cento dell'intera superficie terrestre; si tratta di pascolo permanente, ma anche del 33 per cento dei suoli coltivabili, destinati a produrre mangimi per gli animali allevati che come è noto hanno un basso rendimento energetico-proteico Gli allevamenti sono fra i principali responsabili della deforestazione, ad esempio in America Latina dove il 70 per cento delle ex foreste in Amazzonia sono state rase al suolo e sostituite da pascoli (Fao)

Consumo di suolo, dati : in Italia in un anno la superficie coltivata a mais è passata da 1,2 milioni di ettari a 1,3. E' stato calcolato che Un hamburger equivale alla deforestazione di 6 metri quadri

80 chili di carne ( bovina, suina, pollame, ecc) equivalgono a 500 chili di cereali cioe’ 0,2 ettari. Per l’Italia occorrerebbero 11.400.000 ettari quando la superficie cerealicola è di 10.275.000.

CONSUMO DI ACQUA

La filiera zootecnica è poi uno dei settori che più pesano sulla crescente scarsità di risorse idriche, contribuendo sia al loro prelievo che la loro inquinamento, soprattutto per le deiezioni animali, i residui di antibiotici e ormoni, le sostanze chimiche provenienti dalle concerie, e a monte i fertilizzanti e i pesticidi utilizzati per irrorare le colture da mangime.
(FAO).

Consumo di acqua, dati :13.000 litri un kg carne bovina, 4300 un kg carne suina (Fonte 3° Forum Mondiale per l'acqua, Kyoto). Il Prof. Veronesi propone queste cifre: 1 hamburger pari a 2400 litri acqua, 1 piatto pasta 200, 1 pomodoro 13

La carne richiede cinque volte più acqua per fornire 10 grammi di proteine rispetto al riso e 20 volte più acqua per fornire 500 calorie.

L'irrigazione fa accumulare i sali nei terreni e causa salinizzazione con conseguente perdita di fertilità in Italia si registra la progressiva salinizzazione delle falde in Pianura Padana, Salento, Iblei, Piana di Palermo, Puglia , Metapontino e piana di Sibari. Secondo l'APAT , la situazione potrebbe essere anche peggiore perchè le acque sotterranee sono scarsamente monitorate.

In Italia, si stima che problemi di salinità interessino ormai 450.000 ettari”. ( fonte : Il terreno caratteristiche chimiche – www.docenti.unina.it

CONSUMO RISORSE ( Cereali, petrolio)

Cereali

La produzione mondiale di mais frumento soia riso è di circa 2 miliardi all'anno, fatte salve le inevitabili variazioni dovute alla variabilità climatica, di esse tra il 35 e il 50 per cento serve per alimentare gli animali.

Una ricerca dell'Un.di Manitoba ha dimostrato che ci vogliono circa 3 Kg di cereali per la produzione di solo 1 kg di carne. I volatili allevati a cereali utilizzano solo il 20 % delle proteine dei semi, cioè l'80 % viene sprecato; per le carni suine, il 90 % della proteina è perduta...Il mais: tre parti su cinque sono destinate all'alimentazione degli animali”. M. Pollan, L'enigma dell'onnivoro.Il programma ambientale delle Nazioni Unite rileva che “la stabilizzazione della produzione attuale di carne p. c.te, la riduzione del consumo di carne nel mondo industrializzato e il mantenimento in tutto il mondo dei livelli del 2000 di 37,4/kg/p c, nel 2050 libererebbe circa 400 mil. di tonn di cereali all'anno per il consumo umano, cibo sufficiente a soddisfare il fabbisogno annuale di calorie di circa 1 miliardo di persone”. (WW Institute, State of the Word 2010)‏ “Si stima che il 40 % del mais a livello mondiale e fino all'80 %della soia siano utilizzati per nutrire gli animali anziché le persone. Tali colture dipendono pesantemente dai fertilizzanti artificiali” (State of the Word 2010)

Petrolio

Il sistema degli allevamenti intensivi dipende interamente dai combustibili fossili. I nitrati usati per fertilizzare le coltivazioni dei cereali destinati agli allevamenti deriva dal gas naturale. Il fosforo e il potassio sono estratti, processati e trasportati con l'energia fornita dal petrolio. I pesticidi sono fabbricati con risorse petrolifere. I macchinari degli allevamenti sono costruiti e funzionano con energia petrolifera. Il cibo è prodotto trasportato con carburanti fossili. I liquami sono stoccati e trasportati con carburanti fossili”. (Putting Meat on the Table: Industrial Farm Animal Production in America - A Report of the Pew Commission on Industrial Farm Animal Production).

Si calcola che un quintale di mais prodotto con metodi industriali consuma l'equivalente di 4-4,5 litri di petrolio, ovvero 470 litri per ettaro (dati Usa). Detto in altro modo per produrre una caloria alimentare (di mais) ci vuole più di una caloria di combustibili fossili. (Al contrario senza concimazione chimica da una caloria se ne ottenevano due) (Michael Pollan Il dilemma dell'onnivoro).

Sommando tutte le necessità per arrivare a produrla, 1chilogrammo di carne bovina richiede circa 9 litri di petrolio.

INQUINAMENTO ARIA

“Intanto, il bestiame produce globalmente più gas serra del settore dei trasporti: il 18 per cento del totale, in termini di CO2 equivalente. Se si includono le emissioni legate all'uso dei suoli e al cambiamento nell'uso dei suoli, il settore zootecnico è responsabile del 9 percento della CO2 imputabile alle attività umane, e di una percentuale molto maggiore di altri gas serra: il letame
esala infatti il 65 percento degli ossidi di azoto, il cui potenziale climalterante è 265 volte maggiore di quello della CO2. Inoltre, è responsabile del 37% del metano da attività umane, in gran parte prodotto dal sistema digestivo dei ruminanti, e del 64 percento dell'ammoniaca, che contribuisce significativamente alle piogge acide”. ( FAO).

Secondo la FAO la produzione e l'utilizzo di concimi per le colture per l'alimentazione animale contribuisce a circa 40 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica annuali. (State of the Word 2010).

Le prime segnalazioni delle emissioni dei gas ad effetto serra dovute agli allevamenti risalivano agli anni '90, e avevano suscitato quasi ilarità, come spesso accade in campo ambientale. Oggi non è più così: “Dovremo diventare tutti vegetariani, se vogliamo davvero combattere i cambiamenti climatici: l’ha l’ha detto in un’intervista al “Times” il britannico Lord Stern of Brentford, una delle massime autorità sui mutamenti del clima e autore del “rapporto Stern” sul costo della lotta al riscaldamento globale. “la carne fa sprecare molta acqua e crea molte emissioni dannose. Inoltre produce un’enorme pressione sulle risorse del mondo – ha spiegato - . la dieta vegetariana è molto meglio”.(La Stampa 27 10 09 ).

La bistecca fa male alla Terra. L'effetto serra ci cambia la dieta”. La Repubblica 28.01.08

La concentrazione di CO2 si combatte anche a tavola” La Repubblica 03.11.09

Sull'onda di tali analisi si pubblica, nella stessa pagina, una intervista a Jeremy Rifkin che propone di tassare il consumo di carne e si parla di una ipotesi di Obama per delle tasse sul bestiame.

Peraltro con dei ripensamenti “Bistecca: la seconda vita. Chi mangia carne non rovina l'ambiente” (La Repubblica 10.11.10). Il titolo, come spesso accade, è diverso dal testo: il testo non cancella i dubbi ma cerca di ridimensionare il peso dei dati.

Altro che tasse sugli allevamenti, negli Usa la carne ha più contributi di altre produzioni agricole, infatti una ricerca statunitense dimostra come gli aiuti in agricoltura vadano a sostenere le produzioni in maniera inversamente proporzionale agli indirizzi alimentari.

Infatti gli aiuti sono distribuiti per il 73,8 a carne e latte, 10,69 a zucchero, olio e alcool, 13,23 ai cereali, 0,37 % a vegetali e frutta, mentre le raccomandazioni dell'Agenzia Federale per la Nutrizione suggeriscono le quantità di 11 porzioni di cereali, 9 di vegetali, 6 di proteine (carne e latte) e solo sporadiche porzioni di zucchero, olio e sale.

Come dire che tra il dire e il fare...

INQUINAMENTO TERRENI - ACQUE

Fosforo e azoto. “Si ritiene che il bestiame sia la maggiore causa della contaminazione da fosforo e azoto nel mar della Cina meridionale, una tragedia per la biodiversità degli ecosistemi marini”. (Fao)

L'azoto versato nei terreni e non utilizzato dalle piante, in parte evapora, va nell'atmosfera, rende acide le piogge e contribuisce al riscaldamento globale (il nitrato di ammonio si trasforma in protossido di azoto, un gas che ha un ruolo importante nell'effetto serra). Una parte arriva in tavola con la cena, (attraverso l'acqua contaminata nelle falde) infatti viene lavato via dalle piogge di primavera, dai campi finisce nei fossi di drenaggio e da lì nel fiume Raccoon, che si getta nel Des Moines, che rifornisce l'acquedotto dell'omonima città. In primavera quando la dilavazione dell'azoto tocca la punta massima, le autorità cittadine diramano il cosiddetto blue baby alert (allarme bambino cianotico) sconsigliando vivamente di dare da bere ai più piccoli l'acqua del rubinetto. I nitrati dell'acqua si legano infatti all'emoglobina e compromettono la capacità di trasporto d'ossigeno del sangue...” (M. Pollan - Il dilemma dell'onnivoro)

Le concimazioni azotate e le deiezioni animali inquinano le falde e i mari, i nitriti i nitrati e il fosforo sparsi sui terreni o penetrano tramite lisciviazione nelle falde oppure finiscono nei corsi d'acqua e di torrente in torrente arrivano nei mari. Vi sono gia’ zone degli oceani definite morte, zone come il mar giallo dove sfocia il fiume giallo hanno problemi di siccità nel fiume e di inquinamento nel mare.

Un suino inquina da 4 a 6 mc acqua al giorno

Gli animali allevati in pianura padana equivalgono – come deiezioni - ad una popolazione aggiuntiva di circa 130 milioni di persone.

INQUINAMENTO CHIMICO

La zootecnia intensiva è collegata all'agricoltura monocolturale per quanto riguarda le coltivazioni cerealicole e le coltivazioni sono un agente di inquinamento.

Inquinanti chimici

Uso fertilizzanti nel mondo Fonte State of the word, 2002

 1950 :20 milioni tonnellate      2000 : 150 milioni

Vendite globali pesticidi Fonte State of the word, 2002

 1950 : 2 miliardi di dollari         1999 : 30 miliardi di dollari

(Ma le perdite per parassiti è aumentata addirittura rispetto al medioevo dal 35 al 42 %.- Ecocidio Broswinner)

 

Di suo la zootecnia intensiva immette nell'ambiente le molecole antibiotiche.

Antibiotici e altri prodotti chimici (per gli animali)

6.500 tonn anno antibiotici Europa (metà del tot.)

I cataboliti dei chemioterapici che finiscono nei terreni contribuiscono all'aumento dell'antibiotico resistenza.

La situazione della Pianura padana

Nella Pianura padana si realizza il connubio mais-allevamenti intensivi; le coltivazioni monocolturali sono oggetto di una intensa concimazione chimica, la quale però non ricostituisce l'humus asportato dalle piante, che progressivamente diminuisce. Si calcola che il 40 % pianura padana sia a rischio desertificazione.

Nitrati

L'Unione europea si era preoccupata fin dal 1991 (Direttiva 91/676/CEE) del carico di nitrati e nitriti derivati dalle deiezioni ufficiali chiedendo alle nazioni di adottare dei piani per valutare l'impatto degli allevamenti e piani per la eventuale riduzione del carico se in eccesso. In pratica non si sono adottati piani al riguardo e adesso Fonti ufficiali quali la DECISIONE DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 3 novembre 2011 hanno concesso una deroga richiesta dall’Italia con riguardo alle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto a norma della direttiva 91/676/CEE del Consiglio relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Dalla Decisione si ricavano alcuni dati interessanti.

Si dice “ nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto si allevano oltre il 70 % del patrimonio zootecnico in Italia: in particolare, il 67,1 % dei bovini da latte, il 60,6 % degli altri bovini, l’81 % dei suini e il 79,4 % degli avicoli.

Le zone vulnerabili, cioè con contenuti rilevati di nitrati troppo elevati, designate cui sono applicabili i programmi d’azione richiesti dalla Direttiva 91/676/CEE interessano circa il 63 % della superficie agricola utilizzata (SAU) in Emilia Romagna, l’82 % in Lombardia, il 38 % in Piemonte e l’87 % in Veneto.

I dati relativi alla qualità dell’acqua presentati mostrano che nell’89 % delle acque sotterranee nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto, la concentrazione di nitrati è inferiore a 50 mg/l, mentre il 63 % presenta una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/l. Per quanto riguarda le acque superficiali, la concentrazione media di nitrati è inferiore a 25 mg/l in oltre il 98 % dei siti di monitoraggio e in nessun caso supera 50 mg/l.

Qualche dubbio rimane sulle modalità di effettuazione dei sondaggi conoscitivi sulle acque.

Quelli del Piemonte non privilegiavano le zone a maggiore intensità zootecnica

La deroga in pratica non obbliga a ridurre il numero di animali allevati, ed è stata concessa perché i livelli dichiarati dai monitoraggi nelle acque sono sotto i limiti di guardia

La conclusione è che non ci saranno variazioni nella situazione

 

ALTRE CONSEGUENZE

Perdita della biodiversita' vegetale

Le monocolture hanno portato alla diffusione di poche varietà di semi nelle piante negli ortaggi e nella frutta. Tra i seminativi il mais ibrido è il seme più diffuso.

Perdita biodiversita' delle specie animali

Gli allevamenti intensivi hanno favorito la concentrazione di poche specie animali se guardiamo nelle stalle vediamo sempre le stesse specie o ibridi di bovini suini polli galline, conigli, ecc. e ciò si sta allargando in tutto il mondo.

Ogm in agricoltura

I vegetali modificati non sono graditi ai consumatori, per ora la maggiore diffusione si ha con i mangimi per gli animali, nei quali soia e mais modificati possono essere utilizzati.

Naturalmente non si conoscono completamente le conseguenze, solo recentemente il Prof Seralini ha dimostrato che il cibo transgenico è in grado di indurre il cancro nei topi. C'è un forte interesse da parte delle multinazionali alla diffusione di semi Ogm perché aumenteranno ancora la loro quota, già altissima, di semi venduti.

Un'altra conseguenza sarà sicuramente una crescita della perdita della diversità.

 

CHI CI GUADAGNA CHI CI PERDE

Le Multinazionali ci guadagnano, gli altri perdono

Cereali: 50,8 mild dollari di fatturato, Sementi: 2 cartelli, Cargill / Monsanto e Archer Daniel Midlands/Novartis controllano il 60% del mercato globale delle sementi

Agrochimica: 2 Cargill/Monsanto e Archer Daniel Midlands/Novartis controllano il 75 % del mercato globale

Pesticidi 5 società (tra cui le precedenti) controllano il 65% del mercato globale

Tutti i dati da La Repubblica del 23/08/02.

La concentrazione si verifica a molti livelli: negli Usa 4 società controllano il confezionamento dell’ 80% della carne bovina e 5 il 75% di quella suina;

5 aziende controllano la vendita al dettaglio di più del 50% di tutti gli acquisti alimentari in Francia, Germania, Gran Bretagna.

In Centro America una azienda controlla più del 60% acquisti pollame.

Negli Usa 4 società controllano il confezionamento dell’ 80% della produzione di carne bovina e 5 società il 75% di quella suina. (R. Patel I padroni del cibo)

Quindi le Multinazionali controllano la maggior parte

® degli acquisti e delle vendite dei semi di cereali ( in buona parte per la zootecnia)   

® delle vendite dei prodotti chimici per l'agricoltura

® dei presidi chimici utilizzati negli allevamenti intensivi

® del mercato della vendita e distribuzione dei cibi di origine animale

® del mercato dei farmaci per le persone anche per quelle affette da problemi     di sovrabbondanza di cibi di origine animale

E' evidente che l'intero ciclo – dai semi alla tavola - lavora per produrre vero guadagno alle multinazionali

 

Ci perdono

® i cittadini che sostengono – con i soldi pubblici - un sistema che va a loro svantaggio

® i cittadini perché sono ormai noti alcuni problemi di salute (esempio l'aumento dell'antibiotico resistenza )

® i piccoli coltivatori e allevatori perché la intensivizzazione determina la diminuzione del valore della materia prima (vegetali e animali)

® i piccoli allevatori che spesso chiudono l'attività per la concorrenza delle imprese più grandi

® aumento delle soccide. Perdita di proprietà dei piccoli allevatori

 

LA DIFFUSIONE NEL MONDO

La Cina consuma il 50% della carne di maiale del mondo, brasile 2 nel mondo dopo Usa per il manzo. In India il fast food cresce del 14% annuo.

Entro il 2020 le popolazioni dei paesi in via di sviluppo richiederanno più di 39 kg a testa di carne.

L'India nel 2013 apre alle catene dei supermercati.

Chi incentiva la diffusione del sistema

Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale quando sono interpellati dai Paesi che richiedono aiuto, ne approfittano per imporre – praticamente – lo sviluppo della filiera cereali® fertilizzanti e fitofarmaci ®  carne e latte

Anche in Europa le risorse economiche di fatto sono volte al sostegno alla produzione, anche se i buoni propositi sono di segno diverso: di fatto sono avvantaggiate le grandi aziende.

 

Che fare?

Cambiare il sistema può essere un'idea...

La terra non è infinita è come la navicella che andrà su Marte nella quale, per ragioni di spazio e di necessità di conservazione ( per 2 anni di viaggio) gli astronauti mangeranno un menù vegano...