In questo giorni stanno venendo a galla, e trattandosi di  acqua si può dire a ragione, i problemi sulla gestione privata dell’acqua in conseguenza dell’applicazione della “legge Galli”. La legge 36/94 sancisce  il principio generale che  tutte le acque sono pubbliche, derivazione  e utilizzo sono soggette a concessione, prevedendo che i servizi idrici sono riorganizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali e che le Regioni, sentite le province, provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (ATO), allo scopo di favorire un governo migliore.

Successivamente l’articolo 35 della finanziaria 2001 ha stabilito che la distribuzione di tutti i servizi doveva essere privatizzata, anche quella dell’acqua, così come richiedono le tesi del neoliberismo globalizzante e come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario internazionale chiedono a tutti i paesi, anche a quelli in via di sviluppo. Causa non  indifferente di espansione dei monopoli delle multinazionali dei servizi e di aumento della difficoltà di accesso da parte delle categorie più deboli.

Come nei paesi più poveri anche in Italia adesso ci si sta accorgendo che la privatizzazione crea problemi non da  poco. Sulla base della legge regionale del Piemonte n. 13 del 1997 sono stati costituiti 5 ambiti ottimali sui sei previsti e la distribuzione, in base alle norme legislative, sta per essere affidata a gestori privati per ogni ambito. La gestione è effettuata da società per azioni, che potrebbero anche essere espressione di enti pubblici. Queste però, potendo sfruttare che di fatto una situazione di monopolio, perseguono fini meramente economici con tariffe doppie e o triple rispetto alla media regionale, non investendo per il reale miglioramento dei servizi.

Infatti la cosa più comoda  da fare per un gestore è preoccuparsi di vendere più acqua possibile, senza preoccuparsi di manutenzionare la rete o introdurre innovazioni tecniche ed incentivi per il risparmio ed il migliore utilizzo delle acque.  Invece uno degli obiettivi strategici della gestione della acque è proprio la necessità di governare la domanda e i relativi usi; è sbagliata la logica di dare sempre risposte a tutte le domande.

In questi giorni più di quaranta sindaci si sono coordinati per richiedere alla regione un revisione della propria legge allo scopo di rettificare quello che appare ormai come un evidente difetto di democrazia. Innanzi tutto perchè una legge impone la propria volontà su quella dei sindaci e poi perché non agisce nell’interesse della comunità ma anzi contro di essa.

Visto che comunque si è in presenza di una legislazione non risolvibile a livello regionale si pensa già ad un coordinamento nazionale di sindaci proprio per rivendicare un cambiamento e per ristabilire il principio di acqua come bene pubblico da gestire nell’interesse di tutti con intenti sociali.

È dovuto passare un po’ di tempo prima che in molti ci si accorgesse dei danni che il neoliberismo globalizzante può fare in tema di bisogni sociali, ma, dopo che molta acqua è passata sotto i ponti, forse adesso qualcosa si sta muovendo.