Tra le tante vie alla decrescita che sono indicate nel progetto di queste giornate direi che se ne deve aggiungere una: la via eco-animalista.

Se infatti la decrescita è la più avanzata visione della società moderna in chiave ecologica non si può ignorare il contributo del  movimento animalista.

Non vorrei che si pensasse all’animalismo come rappresentato da quelle persone che meritevolmente seguono le colonie dei gatti, a coloro che alimentano i colombi o a quanti, amorevolmente e faticosamente, prestano la loro opera volontaria nei canili. L’animalismo è anche questo ma è anche una profonda riflessione etica e, come proverò a  dimostrare, economica che va nel senso della teoria della decrescita.

E va sottolineato come l’animalismo abbia elaborato una posizione molto vicina alla decrescita da alcuni decenni, prima di molte altre parti del movimento.

E lo ha fatto attraverso la maturazione e l’elaborazione di linee di comportamento individuali che ai fini del raggiungimento dell’obiettivo sono altrettanto importanti quanto le scelte collettive o amministrative., peraltro le scelte individuali hanno il merito di essere più facilmente perseguibili dagli individui mentre, come sappiamo, quelle istituzionali sono talvolta molto difficili.

Tra le azioni che si compiono ogni giorno la più comune e la più diffusa oltre che la quella che sostiene tutta la vita biologica è l’alimentazione. Ebbene proporre un’analisi dell’alimentazione può essere un viaggio per ragionare sui temi della decrescita a partire da una posizione animalista.

 

Il sistema consumistico cerca di convincere gli individui che il benessere sia collegato in maniera determinante alla capacità di acquisto dei beni materiali e anche l’alimentazione è evoluta in questa direzione.

Seppure si spenda complessivamente meno di un tempo del salario disponibile quando si arrivava fino all’80% del potere d’acquisto, oggi nonostante il livello di spesa si sia abbassato è vero invece che si è spostata l’alimentazione verso livelli di alto consumo di cibo.

Anche se sono presenti iniziative come Sloow Food che propongono maggiore attenzione alla qualità dei cibi, è pur vero che la maggioranza della popolazione viene spinta verso un’alimentazione sempre più globalizzata e condizionata dalle grandi compagnie di produzione commercializzazione e distribuzione del cibo.

Con i sistemi di produzione attuale le materie prime, anche quelle agricole, hanno visto diminuire in maniera esponenziale i loro prezzi e ciò ne ha favorito la diffusione in grande quantità. Così la globalizzazione delle coltivazioni e la possibilità di spostare facilmente le merci favorisce la possibilità di vendere cibi fuori stagione in ogni parte dell’anno.

Si è parlato di globalizzazione della circolazione dei cibi. Una conseguenza diretta è che la circolazione delle merci non ha portato ad una omogeneizzazione del livello complessivo di fruizione delle stesse, anzi ha esasperato le differenze.

Come ammettono tutti gli studi statistici  nel mondo siamo in presenza di circa un miliardo o poco più di persone che soffrono di patologie collegate ad una eccessiva alimentazione mentre più di un miliardo sono quelli che letteralmente muoiono di fame, e circa un altro  miliardo sono sottonutriti9 o denutriti.

Il mito del consumismo o della crescita esponenziale della produzione porta a stili di vita conseguenti e quel miliardo che si ciba in maniera ossessiva è quello stesso che viaggia in automobile, in aereo che vive in case riscaldate che utilizza prodotti che provengono da ogni parte del mondo che consuma la maggior quantità di acqua pro capite che gli arriva corrente in casa calda e fredda e che mangia carne .

Gli altri due miliardi vivono in maniera considerevolmente più risparmiosa, forzatamente occorre dirlo: su spostano o con mezzi pubblici o con biciclette o a piedi, mangiano poca carne o non ne mangiano affatto, salgono sull’aereo una volta sola nella vita o mai, qualcuno quando viene rispedito al  proprio paese dopo un viaggio avventuroso per mare alla ricerca di una possibilità di campare, non sprecano acqua perché ne hanno poca e molto spesso devono andarla a prendere le donne portandola sulla testa e percorrendo lunghi viottoli di campagna.

Non possiamo non ragionare su di un altro termine che è collegato a questo fenomeno, quello di sicurezza alimentare. Per quel miliardo di persone ricche, variamente ricche perché la loro interno non tutti stanno ugualmente bene, comunque condividono in larga misura molti stili di vita, sicurezza alimentare significa poter mangiare cibi che non contengano residui pericolosi o sostanze  inquinanti o alimenti geneticamente modificati, tutte evenienze possibili nel mondo iper tecnologico e civilizzato dei ricchi e tutte sostanze che se non da tutti in ugual misura sono riconosciute come pericolose e quindi da evitare.

Ma i due miliardi che ogni giorno devono affrontare il tema non di quale cibo sicuro devono mangiare ma quello ben più importante di che cosa mangiare, sicurezza alimentare significa semplicemente poter soddisfare l’impulso della fame, sfamarsi, trovare del cibo.

 

Se decrescere significa rivedere gli stili di vita è chiaro che quel miliardo di persone ricche  deve rivedere il proprio a partire dal momento dell’alimentazione.

Perché il sistema di alimentazione attuale non solo pregiudica la salute, come viene detto anche dall’Oms, ma realizza un circuito di ingiustizia a livello mondiale.

 

Il punto dal quale erano partiti i ragionamenti degli  animalisti e che giustificano il loro originale interesse per la decrescita è il  consumo di carne. Non dimentichiamo infatti che tutti gli indici di ricchezza inseriscono questo elemento tra gli indicatori e come si è detto il consumo di carne si accompagna in maniera direttamente proporzionale al consumo della carnee  dei prodotti di origine animale: più si è in alto sulla scala della ricchezza più si consuma carne e al contrario meno si mangia e meno carne si ha a disposizione.

 Per sostenere l’alto consumo di carne, si è realizzato un sistema per cui i circa 2 miliardi di tonnellate dei quattro cereali più coltivati nel mondo, mais frumento riso e soia,  più della metà vanno per gli animali che però servono per cibo solo alla popolazione ricca. Ed è il sistema industriale che ha trasformato tutti gli animali d’allevamento, non solo bovini ma anche suini polli galline e conigli, in grandi divoratori di cereali, mentre fino a cinquant’anni fa mangiavano vegetali diversi.

Il fatto è che 3 o quattro multinazionali vendono più del sessanta per cento dei semi di questi cereali e  più del 65% dei prodotti che servono come pesticidi, fitofarmaci e fertilizzanti.

Pesticidi e fertilizzanti sono ricavati dal petrolio per cui la moderna agricoltura e la zootecnia che da esse dipende coltivano solo perché hanno a  disposizione il petrolio.

Mangiare carne significa mangiare petrolio ma  pochi sono i calcoli che sono stati fatti al riguardo in termini numerici, perché speso anche i più convinti fautori della decrescita a tavola “sgarrano” e non hanno voglia di sentirsi in colpa.

 Però se si sommano i consumi di petrolio per la produzione dei cereali il trasporto degli  animali e dei loro derivati alle emissioni di metano da parte dei ruminanti, per alcuni responsabili de 15% dell’effetto serra mondiale, si raggiungo delle punte significative di responsabilità nel causare l’aumento della temperatura del pianeta.

 

Serge Latouche ha scritto ne “Il Sud avrà diritto alla decrescita?” Le Monde Diplomatique , novembre ’04 “Fino a quando l’Etiopia e la Somalia saranno condannate, nei momenti in cui la carestia è forte, ad esportare prodotti alimentari per i nostri animali domestici, fino a quando ingrasseremo il nostro bestiame da carne con delle gallette di soia prodotte dai terreni conquistati con il fuoco nella foresta amazzonica, soffocheremo qualsiasi tentativo che permetta una vera autonomia al Sud”.

 

Per mantenere il circolo vizioso l’ultima evoluzione è la delocalizzazione degli allevamenti, allo stesso modo seguito per i manufatti: facciamo  allevare conigli e polli dal Brasile. Dalla Thailandia a un prezzo irrisorio e poi importiamo la carne in Europa.

I ricchi aumentano i proprio consumi e privano i poveri delle risorse, perchè la terra coltivata per gli animali non dà cibo alle persone, e lasciano loro l’inquinamento conseguente.

 

E poi ci sono le mode del lusso.

Quando in un bar di New York qualcuno si concede un aperitivo con gamberetti forse non sa quello che succede per colpa di quanti fanno come lui. Rastrellare i mari alla caccia di gamberetti, quando si ottiene il dieci per cento della quantità del pescato e il resto si butta, o quando si allevano i gamberetti distruggendo i boschi di mangrovie, come ha drammaticamente dimostrato lo Tsunami, significa creare le cause per cui le rivierasche e  povere di buona parte del mondo non possono più sfamarsi, come facevano fino a qualche decennio, con i pesci che trovavano vicino a riva.

Altra moda nefasta è il sushi, che sta dilagando come tutte le cose inutil, e sta ormai distruggendo la presenza del tonno. Come diceva Oscar Wilde, d’altra parte, “viviamo in un tempo in cui solo le cose inutili sono veramente indispensabili”.

 

E il sistema non si ferma. Ogni giorno la foresta amazzonica viene abbattuta per  far spazio alle coltivazioni di cereali per i nostri hamburger, campi che saranno abbandonati dopo pochi anni per andare a tagliare altri alberi.

È il nostro sistema che li alimenta: crescono ogni giorno i fast food perchè dobbiamo mangiare in fretta e perché sono tanto comodi. E se non ci andiamo noi ci vanno i nostri figli o i nostri nipoti. Noi in pochi qui e fuori moltitudini di persone che vanno in tutt’altra direzione.

 

Che ci piaccia di più o di meno questi sono gli stili di  vita dei paesi più ricchi, certo alcuni di noi sono fuori da questo percorso infernale ma non è così facile come può sembrare.

Non facciamoci trarre in inganno dalle deviazioni dei gamberetti e  del sushi, che sono esempi estremi. Ricordiamo quanto ormai ammettono tutte le statistiche mondiali, ovvero che più della metà dei cereali prodotti nel mondo serve per gli animali che a loro volta diventano cibo per una parte minima della popolazione mondiale.

 

Ecco  dove si coniuga l’animalismo con la decrescita ogni giorno quanti di noi pensano che decrescere voglia dire fare delle scelte individuali una delle principali e più importanti è quella di evitare i cibi di origine animale.