Come qualsiasi teoria anche la decrescita, per divenire finalità amministrativa, deve riuscire a diventare una scelta politica. Per farlo però deve riuscire a dialogare e a coinvolgere gli attori individuali, i politici. Nel confronto, però, si è constatato che  i soggetti politici sono condizionati dalle categorie economicamente più forti e, di fatto, più attenti ai voleri di queste che, come noto, tendono a non cambiare troppo gli indirizzi in atto. Le forze politiche così, e i politici stessi, non sono attirati da quanto potrebbe mettere in crisi l’esistente e considerano le idee più innovative, se non come stravaganti, certamente pericolose e, per quanto possibile, da rimandare nel futuro.

Per fare un esempio, quando si trattava di scrivere il nuovo statuito della Regione Piemonte la proposta di utilizzare “economia sostenibile” in luogo dell’ossimoro, come dice Serge Latouche, “sviluppo sostenibile” è stata accolta semplicemente con l’intento di concedere una piccola soddisfazione, allo scopo evidente di smorzare le critiche; certamente senza capire minimamente che tra i due termini passa una certa differenza, anche se ben si sa che sancire il primato dell’economia è pur sempre un approccio problematico nell’attuale contingenza ambientale.

Con queste premesse è evidente la difficoltà di promuovere la consapevolezza che la dilapidazione dei beni naturali degli ultimi decenni ha indotto una deriva che non si corregge se non con una totale inversione di rotta dell’attuale sistema economico. È facilmente comprensibile che nulla è più lontano da questi principi delle azioni di governo e di indirizzo della quasi totalità delle forze politiche. I partiti delle coalizioni europee e mondiali del centro sinistra e del centro destra non considerano il tema della decrescita come importante ed anzi l’obiettivo ideale e programmatico  è esattamente opposto ovvero quello dello sviluppo inteso come crescita produttiva ed economica.

Gli indirizzi politici e governativi puntano su di una società dove il fine economico si persegue con l’aumento della produttività e della rendita, che si raggiunge aumentando i beni prodotti e quindi con un uso crescente di materie prime, poco o nessun recupero o riciclo di materiali, perchè di maggior costo rispetto alla materia prima, nessun impegno per il disinquinamento che aumenta le spese, riduzione dei costi del lavoro con  politiche che perseguono la precarietà e l’insicurezza.

In una parola, una politica neoliberista. Con alcuni distinguo perchè il centro sinistra ne prevede una parziale correzione per fornire alcune garanzie a tutela del reddito e dei bisogni delle classi più deboli, senza mettere in discussione l’indirizzo complessivo.

Le conseguenze sono visibili perché cresce in Europa e nel mondo la precarietà sociale e il degrado ambientale.

Di fronte a questa situazione la soluzione di quanti l’hanno creata è sconsideratamente banale: la tecnologia futura sarà quella che ripulirà il mondo e metterà fine ai guasti. Dove riposi la fiducia nel fatto che chi ha provocato i danni sia in grado di risolverli non è dato di sapere.

In queste condizioni il mondo politico, da quello nazionale a quello locale, accettando quasi acriticamente queste speranze, non accoglie le tematiche della decrescita, nonostante l’impegno di studiosi, esperti, associazioni  per la diffusione di questi principi. Quando va bene i temi possono essere oggetto di discussione in qualche convegno a cui partecipano distratti politici; nel momento della decisione però prevalgono le “certezze” dell’economia tradizionale e l’obiettivo principale è l’aumento del mitico Pil.

L’approccio è propriamente quello di chi non vuole ascoltare: decrescere non può significare soltanto risparmiare qualcosa qua e là all’interno di scelte complessive che non cambiano gli indirizzi generali, ma è mettere al centro della linea politica il rapporto tra produzione, guadagno economico e consumo di risorse, sia energetiche sia materiali. Ciò significa non qualche aggiustamento ma un cambiamento di stili di vita di tutti, dalle scelte politiche a quelle dei cittadini.

Come si può andare nella direzione della decrescita realizzando opere come le Olimpiadi, il ponte sullo stretto di Messina o il treno ad alta velocità? Se volessimo fermarci all’osservatorio del Piemonte, oltre a quello che è stato realizzato, nel futuro si prevede nuovo cemento per la celebrazione dei 150 anni dell’unità d’Italia, il Millennium canavese, gigantesco parco di divertimenti, per di più in zona acquitrinosa, una serie cospicua di nuove infrastrutture stradali. E questi sono solo pochissimi esempi di quanto si sta progettando dal momento che in ogni provincia si succedono molteplici ipotesi progettuali.

Se pensiamo al fatto che post sviluppo significa rivedere il sistema di vita, ricalibrare le attese e le speranze nonché i ritmi di vita sulla base dell’importanza di quello che fa stare veramente bene l’individuo e non dando per scontato che siano l’economia e il consumismo, comprendiamo che sono discorsi difficili da accettare e da proporre ai politici di ruolo.

La Presidente della Regione Piemonte quando le è stato fatto presente la necessità di ragionare sugli indirizzi complessivi di governo sulla base anche della previsione di una scarsità di risorse disponibili ha liquidato al vicenda con una prossima  legge per la promozione di qualche tetto fotovoltaico. Come se questo incremento, seppure utile, possa superare tutte le problematiche in campo ambientale, visto che gli altri indirizzi di governo puntano all’aumento dei consumi e della produzione industriale.

Queste sono le difficoltà che si incontrano sui temi della decrescita a livello politico generale. La sensazione è che finchè “non si urterà” contro il muro ipotetico della scarsità delle risorse, la politica tradizionale non avrà la forza di confrontarsi con queste tematiche. Solo un trauma violento di tipo ambientale o anche sociale potrà mettere in atto processi di cambiamento che potrebbero mettere in crisi, fino al suo superamento, l’attuale classe politica, perché in quel momento sarebbe finalmente palese per tutti la sua inefficienza.

In questo quadro resta da decifrare il ruolo della cosiddetta sinistra radicale, laddove esiste come forza più o meno organizzata. È vero che essa è interessata alle tematiche della decrescita come pure a colloquiare con i movimenti e gli ambiti scientifici che ne sviluppano il concetto ma è altrettanto certo che non  ha ancora chiarito come coniugare il tema della difesa delle categorie deboli con un sistema economico che non preveda comunque la crescita produttiva. Quando poi si trova nelle coalizioni ha scarsissime possibilità di risultato perchè il sistema elettorale attuale privilegia le formazioni più rappresentative. Nel momento della formazione della coalizione, infatti, il programma che conta è quello della o del presidente e non può che essere maggiormente rispondente ai voleri delle forze più grandi. La contropartita è l’essere premiati dalla presenza nelle istituzioni. I programmi elettorali così non raccolgono certo le posizioni più critiche e più difficili, perciò, conseguentemente, una volta al governo le amministrazioni saranno restie, per dirla in maniera eufemistica, a raccogliere gli stimoli alternativi.

Se questo è il quadro del rapporto tra politica e teoria della decrescita e se permane la convinzione che, prima o poi, ci si troverà a fare i conti con una drammatica resa dei conti dovuta alla scarsità delle risorse, prime di tutte quella energetica, si devono mettere in atto azioni per provare a innestare processi alternativi.

Movimenti, associazioni, tecnici e intellettuali impegnati su queste problematiche, continuando nel lavoro fin qui svolto, possono sperare che si ripeta quanto avvenne per l’effetto serra, prima ignorato e poi forzatamente accettato. Così, se non sarà troppo tardi, si potranno finalmente adottare scelte amministrative utili, perché il problema non è una carenza di idee per la decrescita bensì la mancanza della volontà di scelta.

Sul piano politico, le forze che condividono gli obiettivi della decrescita dovrebbero operare per riuscire a far pesare di più le proprie posizioni, obiettivo che sembra inevitabilmente connesso alla riforma della legge elettorale affinché non ci sia l’obbligo di alleanze che diventano ammassi generalisti dove le richieste più caratterizzate sono inevitabilmente ignorate e dove le idee hanno meno peso dei numeri. In questo modo sarà possibile superare gli ostacoli attuali e correggere i molteplici errori che si stanno facendo nelle scelte programmatiche e di governo relativamente alla gestione delle risorse ambientali e sociali.

Per chi crede che indirizzarsi verso la decrescita sia anche una scelta individuale, tra i tanti esempi che si possono proporre, si deve ricordare quanto avviene a tavola. Nel mondo occidentale i consumi alimentari di prodotti di origine animale fanno sì che poco più di un miliardo di persone abbiano consumi elevatissimi di proteine animali e che per sfamare questi animali utilizzati a scopo alimentare sono necessari più della metà di tutti i cereali prodotti nel mondo. Per chi crede nella decrescita la prima conquista per un comportamento coerente sarebbe quello di non consumare prodotti di origine animale o almeno di consumarli in quantità ridotta. Così si può iniziare a fare pratica di decrescita e iniziare a risparmiare risorse. E coniugare le teorie ideali con la pratica concreta.