Sembra che le principali nazioni costruiscano una parte rilevante della politica economica sui grandi eventi. Il G8 si raduna svariate volte in un anno per firmare accordi costruiti in mesi e mesi di incontri, per farlo però occorre prevedere grandi celebrazioni e, secondo le nazioni dove si svolge, costruire edifici oppure restaurarli, migliorarli. Così avviene per le riunioni del WTO.

Osservando il ripetersi ciclico dei grandi eventi, da quelli sportivi a quelli politici, si noterà una loro circolazione, come un’onda che percorre tutto il pianeta, un’onda che naturalmente porta guadagni e vantaggi solo ai costruttori e ai grandi commis d’affari, producendo danni ambientali.

Anche nazioni un tempo “risparmiose” sono coinvolte nel giro d’affari: la Germania aveva realizzato i campionati europei di calcio senza costruire nuovi stadi ma così non è più avvenuto per i mondiali.

Ogni ricorrenza è utile per foraggiare il malcostume, ed in Italia si è pensato di inventare la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia.

Inventare, perché le ricorrenze solitamente sono centenarie.

Poco importa la tempistica se il vero scopo è quello di costruire, innalzare i monumenti tipici di questi anni, le cattedrali di cemento. Ne costruiremo, se avremo il tempo, delle nuove per fare compagnia a quelle ancora in piedi, costruite per i cento anni dell’unità, che fanno mostra della loro decadenza costosa vicino alle rive del Po. Insieme all’eredità delle Olimpiadi costituiscono un fulgido esempio di spreco di denaro pubblico, centinaia di migliaia di euro all’anno solo per mantenere scatole vuote.

Le discussioni di questi giorni non vertono sul significato della manifestazione ma solo su quante opere si riusciranno a realizzare.

Se si vuole celebrare una ricorrenza anomala lo si faccia puntando sulla cultura e non sul cemento.

Facciamo una festa di cultura di popolo di partecipazione, una festa dove si parli di democrazia quella intorpidita del voto e quella delle mille italie che vivono tra la gente, delle persone che lottano ogni giorno per difendere il nostro bel paese dall’assalto degli squali del cemento e dell’economia.

E forse si troverà anche il tempo per discutere seriamente dell’unità, avvenuta come guerra di conquista di una casa reale e non come crescita di tutta la popolazione. Probabilmente le polemiche di questi mesi su inno e altre cosette troverebbero una risposta complessiva se si analizzasse seriamente quanto avvenuto quasi cento cinquant’anni fa e non si coprisse ogni riflessione sotto il mantello della festa fine a se stessa.

Si ragionerebbe sulle divergenze tra una monarchia che pensava solo al suo potere e agli ideali di chi voleva unire una nazione, anche sull’esempio di quanto avvenuto ben prima in altri paesi.

Non promuovere ancora la cultura del cemento ma fare della cultura il cemento di quell’Italia che non è ancora con abissali differenze tra Nord e Sud, anche per accorgersi che le celebrazioni di cinquant’anni fa non sono servite a far crescere un’idea nazionale, anzi negli ultimi anni si è levato sempre più forte il vento della separazione di quel nord che non vuole il sud e come di quella aprte del sud che condivide lo stesso pensiero.

Certo non ci si deve illudere che i tagli promessi dal governo Berlusconi ai fondi per le celebrazioni siano il segno di un rinsavimento, si tratta semplicemente della mancanza di risorse destinate evidentemente a cementificare qualche altro pezzo d’Italia. Ecco un’idea per base per i festeggiamenti dei 150 anni potrebbe proprio essere quanto territorio è stato cementificato e deturpato in questi anni, o anche solo negli ultimi cinquanta.

Insieme alla riflessione sul livello della democrazia nel nostro paese, sarebbe un modo degno per iniziare un’altra storia d’Italia, rimediando agli errori commessi.