Tutto sarà nato dall’agricoltura? È noto che la prima rivoluzione, per alcuni l’unica, che permise alla specie umana di lasciare che alcune persone si dedicassero alla speculazione intellettuale sia stato il movente che ha reso possibile lo sviluppo scientifico. Che negli ultimi decenni ha preso la velocità di crescita che oggi conosciamo.  Altrettanto noto è che, come ogni umana realtà, lo scenario scientifico sia progressivamente cambiato. Vi furono secoli nei quali la scienza dovette soggiacere al potere religioso per cui non il risultato era importante ma la rispondenza alla teoria religiosa. Le scoperte che non erano immediatamente inseribili nella visione religiosa erano bandite e i suoi autori perseguitati. Adesso la situazione è mutata e uomini e donne hanno imparato che la scienza contribuisce al cambiamento della vita.

Ma i mutamenti quando sono iniziati non si possono fermare a piacere e il rapporto tra scienza e società vive un altro punto di confronto critico. Qual è il ruolo che spetta alla ricerca e come si rapporta con le attese della società? Uno degli aspetti importanti è il rapporto tra la ricerca e la ricaduta economica. Da quando la ricerca si è liberata dei lacci posti dall’etica religiosa ha potuto navigare a vele spiegate l’immenso mare della conoscenza sviluppando una notevole mole di realizzazioni. Quando progressivamente si è constatato che le scoperte scientifiche potevano dar luogo ad applicazioni redditizie economicamente i privati hanno compreso che investire nella ricerca era una buona scelta. Negli ultimi anni la scienza cosiddetta applicata ha assunto un ruolo più rilevante della scienza pura, di pura indagine speculativa, che è stata relegata al ruolo di cenerentola, almeno in  Italia; come confermano le ripetute proteste  dei ricercatori che lamentano un disinteresse, che si legge come mancanza di idonei finanziamenti. I dati confermano. Il confronto internazionale effettuato dall’Eurostat pone il nostro paese con un investimento pari a 11.466 milioni di euro, ben lontano da Francia ( 28.319 m€), Giappone (102.555 m€) Stati Uniti (228.516 m€). Gli investimenti in Italia incidono per l’1,04% del Pil, allo stesso livello dell’Austria, uno dei livelli più bassi.  Il valore assoluto è sostenuto per meno della metà dal pubblico il restante dalle imprese private. In questi dati si riassume la minor importanza della ricerca pura.

Certo, e anche in questo caso, niente avviene per pura casualità. Il ridimensionamento del ruolo pubblico della ricerca è direttamente collegato al forte contenimento dello stato sociale. La diminuzione del gettito fiscale per la diminuzione della tassazione impone agli amministratori pubblici di decidere l’utilizzo delle risorse disponibili. Di fronte alle richieste di sostegno solitamente rumorose del mondo produttivo, l’indirizzo non  può che essere quello di ridimensionare le uscite in qualche campo e quello della ricerca è solitamente uno dei penalizzati.

Parlando di “mercificazione” della ricerca, definizione senza dubbio forte, ci si riferisce a quel percorso che indirizza la scienza prioritariamente verso gli interessi economici. Poiché si sostiene essenzialmente con risorse private tende  a privilegiare l’applicazione tecnologica e ciò comporta un inevitabile abbassamento dei livelli di controllo del rischio in quanto la spinta è per la realizzazione.

Questa impostazione impronta il campo scientifico e genera plurime conseguenze.

Innanzi tutto, com’è ovvio, assistiamo ad uno sviluppo diversificato per cui i campi che danno prospettive di miglior ricavo futuro saranno i più esplorati, al contrario di altri che rimarranno  negletti.

Un esempio illuminante viene dalle nuove biotecnologie, le ricerche che si stanno sviluppando attorno alla possibilità di creare nuovi organismi cambiando il contenuto genetico delle cellule.

La stessa evoluzione del sapere sull’argomento esemplifica come l’interesse economico sia un forte propulsore per la ricerca. In pochi anni si è così passati dalla scoperta del dna alla possibilità della sua trasformazione. Nel 1954  avviene la comunicazione scientifica e nel 1972 nasce già la prima pianta modificata, il tabacco.

Il passo successivo è stato quello di finanziare solo le ricerche destinate ad avere un futuro economico e di abbandonare quelle che non si prestano ad un guadagno immediato.

Associando a questo indirizzo la diminuzione del finanziamento pubblico, si vede come già oggi si stia presentando la minaccia di un futuro in cui il sapere umano progredirà solo in base ai voleri dell’economia, probabilmente un fattore di freno ben più grave, e meno percepito, di quelli che erano stati gli anni bui dominati dall’oscurantismo religioso.

Vi è un altro punto da considerare: il fatto che il condizionamento può arrivare non solo al momento dell’impostazione del piano di lavoro e degli eventuali indirizzi ma anche in quello della validazione dei risultati ottenuti. Le pubblicazioni devono essere accettate dalla comunità degli scienziati e ugualmente devono esserlo dai comitati di redazione delle riviste scientifiche prima di essere resi noti. Non è infrequente che vi possano essere delle forzature per respingere quei lavori che potrebbero andare in controtendenza rispetto alla strada che sta precorrendo la maggior parte dei ricercatori. Così si spiegano i ritardi e le difficoltà che trovano molti lavori che si pongono in maniera critica rispetto alle scelte principali fatte dalla maggior parte del mondo scientifico.

A questo si associa un altro fattore. La spinta della parte produttiva diventa sempre più determinante nella società attuale, in quanto siamo di fronte ad un problema occupazionale che investe tutti i popoli della terra, sia i più ricchi sia quelli poveri. Ovunque vi è una ricerca del guadagno da parte di chi genera lavoro. La parte produttiva perciò fa sentire il suo peso decisionale anche nella ricerca pubblica, cercando di far sviluppare con risorse di tutti le ricerche più dispendiose per poi tentare di appropriarsi a proprio vantaggio dei risultati, se questi danno origine ad uno sbocco concretamente economico. Cioè socializzare le spese e privatizzare i guadagni.

Vi sono poi problematiche correlate.

Il legame che si crea tra scienza e applicazione pratica cioè tra il lavoro intellettuale e il suo sfruttamento economico origina un particolare atteggiamento nei confronti dell’economia. Infatti, se la ricerca viene vista in termini di un futuro sfruttamento, già mentre si procede nel lavoro intellettuale si pensa alle ricadute. Ne discende che frequentemente si innestino dei procedimenti che sono più di interesse per l’economia che non per la scienza. Uno dei più recenti campi di studio, le biotecnologie, sono all’avanguardia in questo. Molto facilmente gli annunci di nuove scoperte si succedono a ritmo incalzante e ben prima che il lavoro sia terminato. Così avviene che l’annuncio della clonazione di suini, come è effettivamente avvenuto, venga lanciato ben tre volte prima che l’iter scientifico fosse terminato. Il motivo  risiede nel fatto che i ripetuti annunci fanno lievitare il valore delle azioni e producono un guadagno netto per i laboratori, quasi sempre società per azioni. Tutto si inserisce in quella  che viene definita new economy, l’economia informatica ovvero l’economia finanziaria, per la quale le imprese cercano un profitto non solo dalle realizzazioni  tecnologiche ma anche dalla vendita delle azioni che rappresentano il capitale della società. Gli annunci fanno lievitare il valore dell’azienda e quindi anche quello collegato delle azioni. Così ben prima di avere il risultato auspicato la scienza applicata riesce già a produrre profitti. Certamente il sistema influenza la ricerca non solo negli indirizzi, perchè l’obiettivo è modulato in vista del futuro utilizzo, ma proprio nel suo procedere, in quanto  è facile che si desideri accelerare la pubblicazione dei risultati oppure di sottostimare eventuali negatività, proprio per non correre il rischio di deprimere un eventuale guadagno.

Il ragionamento ci porta a considerare il fatto che l’ansia del risultato potrebbe condizionare le capacità autocritiche che sempre devono essere poste alla base di ogni studio per evitare il più possibile le conseguenze negative, possibili con più facilità quanto più si ignora la globalità della situazione.

La mercificazione produce conseguenze dirette sulla gestione dell’informazione, al fine di sostenere questo indirizzo. Come ogni altra attività, anche questa deve comunicare tramite i mezzi informatici, e sotto questo aspetto si deve anche ricordare il ruolo della pubblicità nei confronti dell’informazione, che, è noto, si reggono per oltre il cinquanta per cento delle entrate sugli introiti pubblicitari. È pertanto evidente che la gestione della pubblicità finisca per influenzare la formazione stessa della comunicazione della notizia. Un esempio può essere la stessa telefonia cellulare, uno dei più recenti campi di nuove tecnologie. Certamente qualsiasi azienda del settore non investirà risorse economiche in comunicazioni pubblicitarie se nei servizi di cronaca sono date notizie sono troppo negative su questi prodotti. È molto facile osservare come le notizie che si possono presentare come positive, nuove scoperte ad esempio, vengano lanciate con dovizia di particolari e con particolare attenzione, senza raccogliere e dar voce a quelle che sono le opinioni contrastanti, che pure esistono nella società. L’informazione positiva è sempre priva di dubbi di qualsiasi genere. Al contrario, se si deve parlare per motivi imprescindibili di una qualche negatività, si può essere certi che essa viene mitigata da opinioni diverse. È il risultato del  potere delle lobbies dei produttori, che agisce sia sul giornalismo della carta stampata sia su quello radio-televisivo. Per una correttezza dell’informazione non si vuole certo chiedere una censura, ma semplicemente una gestione delle notizie effettivamente corretta, senza omissione delle voci dissidenti, come dovrebbe essere il fine di ogni giornalismo.

Il ruolo della informazione pubblicitaria sostiene pertanto una visione fortemente economicistica della ricerca, contribuendo sicuramente ad abbassare la soglia dell’attenzione sui dubbi critici.

Tra le voci che chiedono una discussione sul ruolo e le prospettive della scienza si evidenzia il lavoro di quella parte della filosofia che si definisce bioetica, la quale ha sollevato con particolare intelligenza e attenzione critiche a questo indirizzo. Il termine è stato introdotto nell’ormai lontano 1971 dall’oncologo V.R.Potter nel testo “Bioethics: A Bridge to The Future” in cui si esprimeva la necessità per lo scienziato, di fronte ai radicali mutamenti della scena biomedica, che allora iniziavano, di ricostruire il rapporto tra valori morali, cultura umanistica e scienze della vita. Questa filosofia analizza in che modo le scoperte scientifiche rispondono ad un requisito basilare, se cioè vanno nella direzione di realizzare le condizioni per un miglioramento della qualità della vita intesa come possibilità di vita per tutti i viventi e difesa dell’ambiente naturale. Essa sottolinea chiaramente come l’uso di tecnologie che riguardano la persona umana e l’ambiente in cui vive richieda primariamente una valutazione oggettiva in cui tutti gli argomenti abbiano pari dignità, sicuramente l’attesa economica di chi ha lavorato ma anche i timori e i dubbi di chi pensa alle eventuali ricadute globali. Gli esempi di poca avvedutezza e precauzione sono molteplici e significativamente si sono manifestati negli ultimi decenni, quasi in concomitanza con il rigoglioso e vorticoso sviluppo delle scienze.

 Negli anni ’60 si devono ricordare molte vicende a partire dal nucleare definito da Barri Commoner un vero disastro ecologico epocale, continuando con il di-etil-stilbestrolo, un ormone sintetico suggerito dalla ricerca per l’accrescimento corporeo degli animali, rivelatosi poi cancerogeno o il ddt o l’eternit le cui conseguenze negative sono state di gran lunga peggiori delle poche positività peraltro doviziosamente segnalate dall’informazione e dalla pubblicità.

Questi sono solo alcuni esempi delle conseguenze indotte da un approccio spiccatamente economica e saranno ancora più gravi nel futuro vista la capacità di sviluppo della ricerca. È ovvio che risulta difficile fermare questa mercificazione e comunque ogni intento di censura non può essere una proposta seria con l’attuale idea di società ma è possibile individuare strumenti per contenere e attribuire scienza il suo giusto ruolo.

La visione economicistica della scienza rischia di produrre conseguenze non del tutto positive e per questo sarebbe necessario portare nella discussione alcuni elementi di confronto.

Occorre considerare che nello slancio creativo l’essere umano non dovrebbe trascurare di valutare le conseguenze globali della sue scelte, riflessioni tanto più importanti e necessarie quanto più le sue capacità si amplificano.

È poi necessario che nelle decisioni non entrino questioni di puro merito economico come invece avviene quando lo studioso è troppo influenzato da chi fornisce le risorse che rendono possibile la sua attività.

Per dare luogo a indirizzi positivi ci si dovrebbe basare  sul fatto che la ricerca scientifica dovrebbe riappropriarsi del ruolo di studio intellettuale libero da condizionamenti di qualsiasi tipo, rivalutare e promuovere il compito basilare che le spetta  di ampliare il sapere umano con il principale obiettivo di approfondire il bagaglio conoscitivo al di là di ogni condizionamento o freno ma non in vista di quello che accadrà dopo o di quello che può nascere bensì prioritariamente come semplice accrescimento culturale.

Per qualsiasi fine propositivo di tipo intellettuale legato al mondo della scienza si deve operare almeno su due punti. Un primo intervento è il rilancio a tutti i livelli della necessità di rivalutare il ruolo sociale della scienza, che deve essere perseguito anche attraverso un ampliamento della discussione  cittadini per dar modo a tutte le voci di esprimere la loro posizione.

Indirizzo sociale della scienza significa verificare le finalità del suo operato, ovvero se ci si pone lo scopo di migliorare la qualità della vita per tutti o solo per le categorie che possono economicamente accedervi. Ad esempio il telefono cellulare è arrivato anche in Africa ma le ricadute sociali quali possono essere in un paese dove milioni di persone muoiono per mancanza di cibo e di acqua pulita? Il nuovo televisore a cristalli liquidi è un bel prodotto tecnologico ma non ha ricadute sociali per la comunità, non crea nulla, neanche lavoro in aggiunta a quello già attivo.

Una tecnologia sociale è quella che permette di originare energia da fonti rinnovabili, accessibile alle popolazioni povere dei paesi in via di sviluppo

Anche per un fine sociale diventa fondamentale la riproposizione di un indirizzo attualmente troppo trascurato, cioè il rilancio della ricerca pubblica in modo da sviluppare tanto le possibilità future quanto l’analisi delle problematiche connesse. Un forte impegno pubblico è l’unica garanzia di un controllo sociale e della garanzia dell’assoluta libertà di lavoro per i ricercatori stessi di potersi impegnare senza condizionamenti nello sviluppo del lavoro intellettuale.

Solo prendendo decisioni coraggiose si può sperare di ridare un ruolo sociale alla scienza, utile a tutta la società.