Per quelle strane circostanze che accadono nella vita, mi è successo di incontrare il Cardinal Martini. Era il giugno 2002 e si era organizzata una catena di pace in Israele. La manifestazione però non era gradita alle autorità israeliane e i viaggiatori del nostro aereo, e di quelli successivi, erano stati oggetto di analisi attenta e le persone giovani o meno giovani che “avevano un'aria sospetta” dopo un trattamento alquanto rude e intimidatorio (come se parlare di pace fosse fare terrorismo) erano stati rispediti indietro su di un aereo Alitalia fatto appositamente attendere.

Proprio su quell'aereo finii nel sedile accanto al Cardinale le cui prime parole furono relative al timidissimo tentativo messo in atto da alcuni di noi per cercare di impedire la partenza dell'aereo, restando in piedi e non sedendosi. Mi disse che gli altri passeggeri erano già alquanto irritati – o esasperati – per un ritardo di alcune ore, perché, con tutta evidenza le pratiche di identificazione controllo dei bagagli ed espulsione delle persone erano andate per le lunghe. In verità non ci fu bisogno di alcuna sollecitazione per far  cessare l'abbozzo di protesta in quanto gli stessi che l'avevano messa in atto si erano resi conto della sua inutilità.

Ben presto però lo scambio di parole divenne più interessante. Il cardinale volle informarsi sull'iniziativa abortita e ascoltò anche con interesse un altro argomento, ovvero il mio lavoro sul tema dei diritti animali. In particolare fu attento al problema che da anni riveste un valore trasversale, ovvero lo stile di vita alimentare “occidentale” o ricco che privilegiando la carne sottrae ai poveri una parte consistente di cereali. Su questo punto, che riguarda anche i rapporti tra i ricchi e i poveri del modo, si era dimostrato interessato e non poteva che essere così visto il suo impegno personale nel campo della giustizia sociale. Mi è parso allora che un tema così vicino agli obiettivi di solidarietà della chiesa non fosse diffuso come avrebbe dovuto nell'ambito ecclesiastico.

Un altro punto mi è rimasto di quell'incontro relativo alla “sua” Palestina, la terra da lui tanta amata e nella quale avrebbe desiderato morire, così definita con il termine geografico che identifica un territorio che solo negli ultimi cinquant'anni ha preso il nome di Israele sovvertendo la realtà storica. Proprio discutendo della iniziativa abortita, e della difficile ricerca della pace aveva dimostrato una sensibilità garantista e una visione profonda e improntata da giustizia.

Sul punto avevamo concordato con la difficoltà di riuscire in quel risultato di creare due stati indipendenti perché, anche lui, vedeva Israele aver operato per creare una situazione sul territorio tesa a rendere molto difficile se non impossibile la soluzione. E sulla fase che si stava vivendo, e che tuttora si vive, aveva proposto un paragone molto significativo per noi italiani, infatti diceva che per superare la crisi lo stato israeliano avrebbe dovuto adottare i metodi che in Italia si erano adottati contro l'opposizione armata, ovvero difesa della stato ma senza ricorrere alle ritorsioni e alle vendette. Il suo rammarico era proprio che lo stato israeliano facesse uso costante della vendetta, che non è mai giustizia.

Le sue parole mi ritornano ancora in mente anche adesso che Israele sembra aver vinto la sua guerra e aver ridotto in un angolo, nel vero senso del termine, il popolo palestinese. Speriamo che tutto l'odio speso a piene mani in quella terra non resti solo sopito ma pronto ad esplodere non appena le condizioni geo politiche muteranno e gli Usa non avranno più bisogno di un “cane da guardia” in quel contesto geografico, a difesa delle scorte petrolifere. Sperando che non accada; ma, se e quando, purtroppo, dovesse esplodere una violenza incontrollata ci dovremmo ricordare delle parole del cardinale e rammaricarsi del fatto che nessuno in Israele – e altrove  - le abbia raccolte.