La strage dei maiali del Rifugio Cuori Liberi
La vicenda del Rifugio Cuori Liberi si presta a molte considerazioni che richiedono una riflessione.
Nel mondo attuale la distanza tra gli amministratori pubblici e i cittadini è aumentata a dismisura con la conseguenza che le posizioni ideali tendono a massimalizzarsi, senza considerare l’ambito generale in cui sono inserite e spesso ritengono che la loro posizione sia indiscutibile e senza confronto con l’altra parte della popolazione che non la pensa allo stesso modo.
I movimenti di difesa degli animali spesso sono compresi in questo comune sentire e non si accorgono di essere delle avanguardie che, come tali, devono giustamente difendere le loro posizioni ma nonpossono ignorare il contesto in cui sono inserite. Purtroppo le avanguardie dopo Lenin non hanno avuto molte possibilità di successo. Se tutti i milioni di proprietari di cani e gatti fossero ugualmente idealmente coinvolti nella difesa degli altri animali le posizioni a difesa dei diritti degli animali sarebbero quasi maggioritarie, ma non è così.
La premessa per dire che in questa vicenda sono emerse prese di posizioni e affermazioni che spesso non sono coerenti con un quadro generale complesso.
I volontari per la difesa degli animali hanno ragione quando sostengono che le misure di eradicazione delle malattie infettive servono per tutelare gli allevamenti intensivi, malattie che negli anni cinquanta si affrontavano senza prevedere lo sterminio. Però finché ci sono gli allevamenti intensivi, con l’accumulo di un gran numero di animali, non si possono individuare altre strade che non siano le vaccinazioni. In attesa delle quali, però, è difficile proporre altre strategie.
I volontari per la difesa degli animali, non si sono chiesti come mai l’infezione è arrivata nel rifugio, evidentemente non erano state messe in atto le misure opportune, dal momento che nei pressi erano stati soppressi più di trentamila suini per la peste suina africana e non si sottolinea che, su 38 suini, 20 o 21 sono morti della patologia, una morte con sofferenza.
L’obiettivo non può essere che la messa in discussione degli allevamenti intensivi ma è difficile ipotizzare che il percorso non sia necessariamente un confronto con tutto il mondo economico collegato: la proposta olandese di ridurre del trenta per cento gli allevamenti intensivi ha provocato un’ondata di proteste di cui ha beneficiato un partito di estrema destra che ha raccolto una quantità di voti.
Le violenze delle forze dell’ordine sono una realtà che si conosce da sempre e quindi la domanda inevitabile è se si poteva fare a meno di coinvolgerle. Cosa avrebbe significato, cosa sarebbe successo? I Veterinari sarebbero potuti entrare? La domanda porta alla questione autorizzativa. Le pratiche per le malattie infettive contagiose sono dettate da norme europee, nel caso un regolamento (UE) 2016/429 e successivi, recepiti dalla legislazione italiana per evitare di non poter esportare prodotti in Europa e altrove. Per non rispettare le norme europee si sarebbe dovuta fare una eccezione con deroga che sicuramente l’Unione europea non avrebbe approvato.
La vicenda ha molti lati oscuri, purtroppo, ad esempio non è chiaro se gli ultimi suini rimasti, e poi soppressi, fossero tutti asintomatici o se solo tre fossero in tale condizione.
Sicuramente è criticabile che i Medici veterinari dell’Asl siano entrati nella struttura senza permettere ai gestori di assistere alle operazioni. Questo comportamento è assolutamente condannabile, quale ne sia la possibile giustificazione: nessuno ha potuto verificare se le operazioni sono state condotte evitando ogni sofferenza e dolore per gli animali. Se tutto era programmato per intervenire rispettando gli animali perché la segretezza e l’impossibilità di assistere? La scelta solleva dubbi sull’effettiva volontà di evitare la sofferenza ad animali che, abituati a un rapporto amichevole con le persone, avrebbero sofferto acutamente per maneggiamenti ruvidi e aspri. Anche le modalità di uccisione potevano causare forte dolore se condotte in maniera violenta. Se si temevano reazioni inconsulte da parte dei gestori o di altre persone poteva però essere ammesso un Medico veterinario di fiducia. Negando ogni possibile presenza si è offerto di dubitare sulle attività svolte.
I Medici veterinari potevano individualmente formalizzare una posizione di obiezione di coscienza bisogna però considerare che il medico veterinario ha spesso a che fare con la somministrazione dell’eutanasia e pertanto la questione si collega a quella precedente, ovvero la garanzia che l’eutanasia sia stata effettivamente praticata.
Si deve anche considerare che gli animali detti zootecnici sono destinati a essere macellati e quindi, in assenza di una legge che definisca chiaramente i diritti degli animali ex zootecnici ospitati in rifugi e santuari, non vi è per loro una differenziazione di trattamento rispetto a quelli meno fortunati degli allevamenti, intensivi e non, perché dall’allevamento vanno tutti nei macelli.
È difficile ipotizzare che sarebbe stato possibile, da parte dei medici veterinari, ignorare l’applicazione di regolamenti europei e leggi italiane. Certamente i medici veterinari non sono sempre così alacri nel punire e sanzionare chi non rispetta le leggi a tutela degli animali, anche se non molto numerose.
La vicenda rende imprescindibile richiedere l’emanazione almeno di una legge italiana che stabilisca in modo chiaro la tutela degli animali nei rifugi e nei santuari e continuare l’impegno, durissimo, contro gli allevamenti intesivi che, però, giorno dopo giorno, vedono crescere le proposte di nuovi insediamenti.
Enrico Moriconi, medico veterinario, consulente in etologia e benessere animale
www.enricomoriconi.it
10 ottobre 2023