381 ettari di mais transgenico distrutti in Piemonte. La Pioneer azienda statunitense leader nel campo delle sementi ha messo in commercio un numero elevato di partite contaminate da geni modificati. L’individuazione di questa anomalia ha portato dapprima al sequestro degli ettari coltivati e quindi ad una ordinanza per la loro distruzione. Come purtroppo accade nel nostro paese con una certa frequenza sono passati molti giorni dall’individuazione del problema alla sua soluzione, ovvero l’eliminazione delle piante. Nel frattempo le piante sono fiorite e quindi ci può essere stata un’impollinazione con le coltivazioni vicine, i cui semi giunti a maturazione potrebbero inglobare parti di dna modificato. La conseguenza è che persone e animali potrebbero cibarsi con farine o altri derivati del mais transgenico con le eventuali ricadute di ordine anche sanitario.

La vicenda suggerisce molte considerazioni. Innanzi tutto occorre riflettere sul fatto che i grandi numeri riguardanti il mais, un milione e trecentomila ettari coltivati in Italia, rendono oltremodo difficile pensare che le operazioni di controllo siano sufficienti a garantire la sicurezza dei consumatori. Ma anche degli agricoltori che non sanno bene con quale semente si trovano a operare. Si potrebbe pensare che per ogni campo individuato ve ne sono molti che sfuggiranno, aumentando quindi i rischi dell’inquinamento genetico generalizzato.

Perciò questo richiama la pericolosità delle coltivazioni che avvengono in altre parti del pianeta e alla superficialità con la quale si è consesso di coltivare le piante ogm. Gli ambientalisti denunciano che questa immissione di semi modificati è proprio un piano preordinato delle multinazionali che vogliono surrettiziamente introdurre materiale modificato per poi mettere i cittadini di fronte al fatto compiuto. È poi necessaria un’altra analisi. Il mais in questione serviva esclusivamente per l’alimentazione degli animali. È noto che in Italia, e nel mondo, la quasi totalità del mais serve per i mangimi, avendo trasformato gli erbivori in consumatori di cereali. Allora è giusto che si sappia che attualmente i mangimi per animali, in Italia, possono contenere ogm, e non hanno obbligo di etichettatura. Il mais deve essere etichettato solo per le varietà entrate in commercio dopo il 1997,  sono pertanto escluse - e quindi entrano nei mangimi senza bisogno di etichetta – un tipo di mais bt ( baccillus Thuringensis) e uno di soia Roundup free, prodotti prima di quella data.

Si deve pertanto ricordare che gli animali nutriti con mangimi, praticamente quasi tutti ma soprattutto quelli degli allevamenti intensivi che sono la maggioranza, lo sono con alcuni tipi di ogm. Ne consegue che se non si vuole mangiare ogm al giorno d’oggi o non si mangia carne o si mangia quella degli allevamenti biologici, gli unici che sono certificati per non utilizzare vegetali transgenici.

Vi è poi il problema dei sottoprodotti. Il pannello di cotone, ad esempio, proveniente dalla Grecia è un  residuo della lavorazione tessile che viene usato di frequente nell’alimentazione degli animali ma le piante da cui è ottenuto sono sovente transgeniche.

A questo proposito, benché non si sappia con esattezza se alimentarsi con queste sostanze darà conseguenze negative, non vanno trascurati i segnali di preoccupazione che già si conoscono.

Nel febbraio del 1999, Arpad Pustay del Rowett Institute di Aberdeen, con una ricerca finanziata dalla Scottsih Office - il dipartimento per l’agricoltura scozzese - voleva determinare gli effetti delle patate transgeniche sui topi. Dagli studi è emerso che le patate manipolate riducono le difese immunitarie dei topi. (Lancet, 10/99). Nel gennaio del 2001 in Usa si è ammesso che il mais transegnico fa male agli animali. È stata infatti inflitta una multa di un miliardo di dollari alla Starlink perché le ispezioni federali avevano dimostrato che il mais transgenico immesso sul mercato nel ‘99 e nel ‘00 era tossico per gli animali domestici e poteva causare allergie agli esseri umani.

Uno studio abbastanza recente ha dimostrato che vi può essere un assorbimento del DNA modificato a livello intestinale. Si tratta della ricerca “Degradation of transgenic DNA from genetically modified soya and maize in human intestinal simulations” di S. M. Martin-Orue; A.G. O’Donnel; J. Arino; T. Netherwood; H.J. Gilbert and J. C. Mathers. (British Journal of Nutrition, 2002). Lo studio dimostra che il DNA modificato inserito nella soia e nel mais  può avere implicazioni sulla microflora intestinale. I batteri intestinali possono cioè assumere DNA modificato dalle piante.  In questo modo  potrebbero essere trasmessi anche i geni che codificano la resistenza agli antibiotici. Una volta che il batterio diventato resistente può trasferire questa proprietà ai batteri patogeni rendendo il soggetto immune agli antibiotici. I batteri modificati inoltre possono passare da un essere all’altro.

Altre considerazioni sono relative al fatto che, come dimostrano i calcoli del Professor Benbrock, Direttore del Benbrook Consulting Services, Sandpoint, Idaho, laddove, come negli Usa, le coltivazioni ogm sono diffuse, si verifica una diminuzione del profitto degli agricoltori dovuta all’aumento dei costi sia per i trattamenti chimici, che a differenza di quanto si afferma aumentano e non diminuiscono, sia per la diminuzione della quantità di prodotto raccolto, che anch’esso si riduce, dal 4 all’ 8 per cento, al contrario di quanto si suole affermare. Inoltre gli studiosi stanno esaminando il caso della morte improvvisa della soia, che colpisce  le coltivazioni geneticamente modificate. Ciò determina negli Usa la progressiva ulteriore scomparsa dei piccoli agricoltori stretti in questa tenaglia di costi crescenti e ricavi in contrazione, a vantaggio di quelli più grandi che comunque traggono il loro profitto dai contributi pubblici. La diffusione dei semi ogm in pratica è utile solo alle multinazionali che li producono. Tutto il resto vive sugli aiuti pubblici. Per questo l’agricoltore statunitense semina quello che gli forniscono perché tanto per il guadagno si rivolge al contributo pubblico.

Lo stesso è il percorso in Europa. La diffusione surrettizia di semi geneticamente modificati è favorita dall’attuale politica agraria europea che sostiene con aiuti le produzioni cerealicole, che vivono soprattutto grazie al sostegno pubblico. Questo induce un continuo aumento della coltivazione del mais, le cui sementi sono controllate nell’assoluta maggioranza dalla multinazionali. Infatti nell’ultima vicenda è stata coinvolta la Pioneer. Le ditte produttrici sono così agevolate nell’introduzione surrettizia dei semi modificati, per favorirne la diffusione mettendo gli operatori davanti ad una situazione ormai compromessa. Per questo le recenti leggi europee devono indurre notevolissime preoccupazioni in quanto porteranno ad una espansione dei prodotti ogm e verrà a cadere la moratoria attuata in questi anni. Le norme che stabiliscono, di indicare la tracciabilità dei prodotti contenenti ogm in tutto il loro percorso e di determinare, da parte dei paesi membri, norme di sicurezza per le piantagioni ogm che non inducano impollinazione nelle altre, faranno cadere la moratoria in atto e pertanto la conseguenza pratica sarà che le piante transgeniche invaderanno i campi e i mercati. L’impegno della separazione delle coltivazioni è infatti molto difficile da realizzare e quasi impossibile da mantenere perché non si può stabilire quali confini o quali spazi siano sufficienti ad impedire che i venti o gli insetti realizzino l’impollinazione incrociata.

Questo comporta che nella lotta contro la diffusione delle sementi e dei cibi geneticamente modificati le tematiche da portare avanti sono senz’altro quelle relative alla superamento della brevettabilità dei prodotti ogm e al tenere separate le due filiere, ogm e non, nonché, anche se oggi oggettivamente più difficile, lavorare perché la moratoria possa continuare. Nella discussione però deve essere inserito anche il rapporto con la politica agraria comunitaria (la Pac) che di fatto incentiva l’agricoltura industrializzata e monoculturale e favorisce la diffusione dei semi ogm.  Occorre investire la classe politica, soprattutto quella che si dice più attenta ai temi sociali, che si assuma l’obiettivo della ridefinizione della pac, con un ridimensionamento della cerealicoltura e una promozione più attiva e consistente dell’agricoltura biologica. Anche in questa direzione si deve richiedere un impegno più costante  e più decisivo a livello comunitario, prevedendo sostegni economici differenziati e molto più consistenti per questo tipo di coltivazione rispetto a quella intensiva e monoculturale. La promozione di quest’ultima risulta di fatto uno dei mezzi più utili per combattere i cibi transgenici.