Il  vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO secondo la sigla in inglese) si è chiuso con un nulla di fatto e i commenti sono divisi nel ricercare il vero vincitore conseguente a questa soluzione.

Come noto il cartello di paesi poveri, ma anche in via di espansione, il G plus, così definiti dopo che da 18 sono ben presto passati ad un numero superiore per aggregazione, capitanati da Brasile India e Cina ha imposto la discussione sul taglio degli aiuti economici che i paesi ricchi, Stati Uniti e Unione europea in testa, concedono ai loro agricoltori. Questi paesi in cambio del taglio chiedevano l’approvazione del Singapore Issus, un pacchetto di riforme che avrebbe dovuto aprire quei mercati ai prodotti tecnologici occidentali. La contrapposizione non ha permesso di arrivare ad un documento finale condiviso e tutto è stato rimandato. Nel tentare un’analisi è bene ricordare quello che ha significato finora l’accordo del Wto che in questi anni ha portato ad un accrescimento del divario tra paesi poveri, sempre più poveri e paesi ricchi, sempre più ricchi. Perché, viene da chiedersi, improvvisamente un ulteriore accordo che proseguiva l’indirizzo attuale avrebbe dovuto segnare una svolta?

L’importanza dell’evento va ricercata nel fatto che per la prima volta i paesi meno forti economicamente hanno imposto una loro agenda di discussione.

La situazione in agricoltura è nota a tutti. Gli aiuti occidentali creano sovrapproduzioni che finiscono vendute sottocosto nei paesi poveri dei quali distruggono la classe contadina, che non  riesce più a ricavare un gettito per la sopravvivenza.

Non ha certo aiutato la discussione la sottovalutazione dei paesi ricchi nei riguardi della questione “cotone” per cui si cercava di gabbare una apertura verso una riduzione del sostegno nei paesi più ricchi come un accoglimento delle istanze contrarie dimenticando che il parallelo intervento proposto sugli scambi veniva di fatto a vanificare la prima misura.

Cancun ha dimostrato la difficoltà degli organismi internazionali di ascoltare quello che accade fuori dalle stanze del potere, problema dell’Onu come dell’Omc. Così si sono visti ripetuti incontri nelle “Green room” da cui sono esclusi i paesi in via di sviluppo.

Sulla scorta dell’insieme delle valutazioni non sembra dubbio che siano più le motivazioni che indicano una oggettiva vittoria dei paesi poveri rispetto ai ricchi. I primi escono rafforzati nella convinzione che uniti possono incidere sulle decisioni. Da Cancun si aprono gli spazi perché si spezzi un multilateralismo imposto da un gruppo di paesi a tutti gli altri. È vero che gli Usa possono continuare a concludere accordi bilaterali, nei quali faranno pesare la loro forza economica, però questi sono stati sempre possibili e rimane aperta la possibilità per quelli minori di pensare ad accordi tra di loro. Diversamente un testo multilaterale avrebbe imposto limiti invalicabili ai singoli paesi che avrebbero dovuto accettare la formulazione complessiva e non avrebbero potuto far valere i loro diritti e le loro preoccupazioni. Dopo Cancun si può rilanciare il Mercosur che può essere una speranza per molte nazioni e il cui fallimento è uno degli obiettivi non tanto nascosti degli Usa.

Sempre a favore della visione favorevole a questa chiusura vi è chi prevede che, sulla base di questa conclusione si dovrà restituire competenza alle agenzie Onu sui temi dell’agricoltura, dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente, dei servizi e degli investimenti. Ugualmente una conclusione più aperta dà modo di intravedere la possibilità di interlocuzione su queste materie da quella parte della società civile, movimenti associazioni, ong, che negli ultimi anni hanno centrato molto della loro attività su questi temi. A questo proposito preoccupano un poco le dichiarazioni di quelle Ong che riferendosi alla conclusione hanno parlato di “non aver motivo di rallegrarsi di questa conclusione”. In esse si potrebbe scorgere una preoccupazione un po’ troppo filogovernativa e di accettazione di un tipo di lettura, tipo quella che coniugava il fallimento con un destino peggiore per i paesi poveri, che è stata troppo pubblicizzata dalla stampa ufficiale e dai governi occidentali.

Cancun rilancia anche le problematiche sempre più attuali della controinformazione: per i cittadini italiani non è stato facile farsi una opinione corretta dai mezzi di comunicazione soprattutto vi è stato un sostegno incondizionato alle posizioni della lobbie dei paesi più forti economicamente.

Infine una riflessione obbligatoria sul ruolo dell’Europa. L’Unione europea ha giocato una pessima partita, schierata di fatto con gli Stati Uniti, legata ad un sistema di aiuti che penalizza i paesi poveri, non ha saputo né voluto differenziarsi per lanciare un vero ponte verso costoro. I manifestanti di Cancun l’avevano ben capito e infatti fischiavano allo stesso modo i due partner Usa e Ue. Quei fischi dovrebbero riverberarsi fin nella sede della Commissione europea e accompagnare finalmente l’uscita di scena del negoziatore Lamy che porta tutti intera la responsabilità diq eusta posizione e di questo fallimento.