Il proprietario di un bar di Torino ha pensato bene di arricchire il suo locale di un acquario dalla insolita forma cilindrica – come da fotografia - all’interno del quale sono ospitati dei pesci.

Le guardie zoofile volontarie della Lac, insieme ad operatori della Polizia Giudiziaria della Città di Torino hanno elevato una sanzione amministrativa per violazione del Regolamento della Città di Torino sul mantenimento degli animali.

Il Presidente dell’Avda ha fornito un parere in merito che è servito per supportare la sanzione e che potrebbe essere utilizzato in caso di ricorso

Il riferimento al regolamento cittadino è relativo all’art 41  comma 3 dello stesso che recita: “gli animali acquatici dovranno essere tenuti in acquari che per dimensioni e capienza siano conformi alle esigenze fisiologiche delle specie ospitate. In ogni acquario devono essere garantiti il ricambio, la depurazione e l'ossigenazione dell'acqua.”

 

L’acquario in questione non risponde ai requisiti richiamati dal Regolamento poiché, evidentemente, non si può definire rispondente per dimensioni e capienza alle caratteristiche fisiologiche degli animali in esso contenuti. Nel caso specifico non è tanto da considerare la capienza e la quantità di acqua contenute, ma la forma, lunga e stretta, e le conseguenze indotte sulle possibilità di movimento. Per forma e dimensioni tale contenitore non ricorda neppure un acquario e sembra rispondere più a esigenze estetiche che alle esigenze etologiche dei pesci che contiene.

È vero che normalmente gli acquari non possono garantire la piena libertà di movimento ma lo scopo del regolamento è quello di assicurare una possibilità di movimento che abbia caratteristiche il più possibile prossime a quelle fisiologiche. Ebbene fisiologicamente ed etologicamente i pesci nuotano certo anche in senso verticale ma non solo e non sempre in circolo. Tuttavia, osservando l’acquario, risulta evidente come i pesci contenuti non abbiano altra scelta che quella di muoversi in senso verticale o in maniera circolare. Quindi non in maniera fisiologica.

 

Le condizioni a cui sono costretti pesci possono anche prefigurare una violazione della legge 189\04 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate” che all’articolo  544- comma 3 recita. “L’articolo 727 del codice penale e' sostituito dal seguente: "Art. 727. - (Abbandono di animali). - Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

 

Il malessere, infatti, può essere causato da atti violenti, quali traumi percosse, ecc. ma anche da una condizione di vita non rispondente alle esigenze etologiche, come giustamente richiama l’articolo citato della 189\04. La stessa Oms definisce il benessere come lo stato di completa sanità fisica e mentale che consente all’animale di stare in equilibrio con l’ambiente. Ne consegue che un ambiente non rispondete alle necessità minime dell’animale genera una condizione di stress, segno indiscutibile di malessere.

             

Vi è un indicatore che permette di rilevare con obiettività lo stato delle condizioni offerte e sono le cinque libertà, ovvero le condizioni minime che occorre garantire agli animali, come elencate dal Farm Animal Council e riportate nel Brambell Report, già adottate anche per gli animali d’affezione in Gran Bretagna. Esse, anche se non sono state ufficialmente adottate in Italia, permettono di individuare degli elementi basilari per il benessere degli animali in riferimento all’etologia e pertanto servono per una analisi oggettiva della condizione di mantenimento degli animali.

Esse sono:

libertà dalla fame e dalla sete e dalla cattiva nutrizione, il che significa la necessità di garantire un facile accesso all'acqua e una dieta che mantenga piena salute e vigore;

 libertà dal disagio, che comporta un ambiente appropriato che includa un riparo e una confortevole area di riposo;

libertà dalle ingiurie, ovvero libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie attraverso la prevenzione e rapide diagnosi e trattamenti;

libertà di esprimere un comportamento specie specifico naturale, ovvero la necessità di disporre di spazio sufficiente, attrezzature appropriate e la compagnia di animali della stessa specie;

libertà dalla paura e dall'angoscia, assicurando condizioni e trattamenti che evitino la sofferenza mentale.

 

In riferimento alle cinque libertà si possono fare le seguenti valutazioni relativamente ai pesci contenuti nell’acquario a cui ci si riferisce.

 

È loro negata la libertà dal disagio perché l’ambiente non è appropriato viste le dimensioni e le difficoltà di movimento che impone come si è rilevato in precedenza.

 

Per quanto concerne la libertà di esprimere un comportamento specie specifico naturale è facile osservare che essi non possono certo muoversi e sono impediti dallo svolgere quasi tutte le funzioni fondamentali che configurano il comportamento definito come naturale.

 

Così la libertà dalla paura e dall’angoscia, assicurando condizioni e trattamenti che evitino la sofferenza mentale, non è certo rispettata dal momento che nell’insieme tutte le carenze determinano appunto stati d’animo di timore inquietudine e sofferenza.

 

Effettuando una valutazione oggettiva del benessere/malessere sulla base del dettato delle cinque libertà si può dire che nell’insieme le condizioni dei pesci contenuti nell’acquario in questione sono tali per cui è possibile affermare la presenza di condizioni che prefigurano il maltrattamento animale ai sensi della legge 189\04 in quanto nel complesso, vista la negazione delle fondamentali libertà, si può dire che gli animali siano mantenuti “in condizioni incompatibili con la loro natura” e che producono grave sofferenza, come prevede l’articolo 544 sexsies.