Congresso Nazionale Medicina Democratica
Milano 16/18 febbraio 2012


Contributo: La contaminazione della filiera alimentare
a cura di E Moriconi*, G. Serra*, G. Cassina*, P. Cazzola**.

* Medici Veterinari ** Biologo

 

La crescita della popolazione mondiale e del consumo di alimenti, pur se rimane una larghissima parte di popolazione mondiale che soffre la fame per mancanza di cibo fino a morirne, provoca una spinta nella produzione e suscita preoccupazioni per le possibili contaminazioni. È ovvio che con una enorme quantità di alimento che circola per il pianeta, in quanto con la globalizzazione qualsiasi elemento, quindi anche il cibo, non conosce frontiere, aumentano le preoccupazioni relative all'effettivo contenuto e conseguentemente alla salubrità.

La mescolanza di provenienze diverse, che significano sistemi di coltivazione e di allevamento degli animali variati, aumenta la possibilità che sostanze pericolose o nocive entrino nella catena alimentare.

Le autorità sanitarie mondiali hanno considerato il problema e la soluzione accettata è che ogni Stato garantisce per i suoi prodotti e quindi le garanzie che valgono sul mercato interno sono ritenute soddisfacenti anche per il commercio verso l'esterno.

Fatta salva la possibilità degli stati importatori di verificare l'effettiva rispondenza degli alimenti alle garanzie dichiarate.

In Europa e in Nord America il controllo si basa essenzialmente sul sistema HACCP e sull'analisi del rischio. L'analisi del rischio serve a determinare quale sia il livello massimo delle molecole pericolose ammesso negli alimenti mentre l'HACCP, ovvero analisi dei punti critici di rischio, è un autocontrollo per cui si devono registrare tutte le attività ( dalla provenienza delle materie prime al modo di trattamento e trasformazione, alle condizioni di vendita) per dar modo di focalizzare i punti della filiera dove più facilmente potrebbero presentarsi delle criticità e serve anche alle autorità sanitarie ufficiali per verificare che siano rispettate le norme vigenti. È evidente che eventuali illeciti non vengano autodenunciati da chi li commette ed infatti esiste un sistema di allerta mondiale per cui i problemi sanitari più gravi sono segnalati al più presto per dar modo ai singoli Stati di prendere misure di sicurezza.

Le possibilità di contaminazione acute sono molto elevate e per rendersene conto basta consultare l'elenco delle allerte regolarmente pubblicato dagli organi di vigilanza.

Come elementi di rischio o di pericolo, si devono considerare due ordini di situazioni a loro volta determinate da cause diverse.

Vi possono essere infatti episodi acuti che si manifestano improvvisamente con la presenza di una forte quantità della sostanza pericolosa oppure episodi “cronici” caratterizzati da una presenza di basse quantità continue nel tempo.

Le origini possono essere evidentemente o da agenti infettivi (soprattutto batteri) o da sostanze chimiche.

Il sistema alimentare è estremamente diffuso e ormai coinvolge tutto il pianeta sia a livello produttivo sia a livello di commercializzazione e conseguentemente le problematiche sono assai complesse così come le criticità. Per evidenti motivi di concisione, si esamineranno solo gli elementi che più frequentemente sono chiamati in causa per le conseguenze che generano.

Con il termine di residuo si comprendono le sostanze utilizzate per il trattamento terapeutico degli animali (antibiotici, antiparassitari, ecc.); le sostanze ad azione ormonale e antiormonale (anabolizzanti più o meno leciti, prostaglandine, beta agonisti, ecc.); i contaminanti chimici quali insetticidi, pesticidi usati in agricoltura; i residui di origine industriale (PCB, metalli pesanti, ecc.); le micotossine; gli additivi (comprese le radiazioni ionizzanti dove impiegate per la conservazione)

Sono oltre 2000 i residui che si possono riscontrare negli alimenti. In particolare il massicio uso del farmaco nell’allevamento intensivo pone una continua attenzione verso la problematica dei residui, infatti anche se vengono fissati standard igienico sanitari e limiti di tolleranza basati sulla assunzione giornaliera media di determinati alimenti (sia di origine vegetale che animale), la tossicologia del farmaco veterinario si distingue molto da quella degli additivi alimentari, e per es. la farmacocinetica gioca un ruolo essenziale. Per questo i criteri quali il No effect level per stabilire i livelli di tolleranza residuali, dovrebbero essere affiancati da protocolli tossicologici che tengano conto anche dei metaboliti.

Un ulteriore problema è rappresentato dal mercato nero dei farmaci. 

 

Gli effetti tossici riscontrabili nelle persone sono vari:

effetti di tossicità acuta e di tossicità cronica, allergia , farmaco resistenza, disturbi a carattere sessuale (estrogeni), effetti teratogeni

 

Pericoli più frequenti

Se molte molecole o batteri possono essere pericolosi si considereranno i casi che statisticamente sono ricorrenti, da questo punto di vista si devono considerare:

mercurio –  nitrati e nitriti – antibiotici e loro cataboliti - diossine e pcb - isotopi radioattivi - aflatossine - listeria - salmonella - E coli VTEC – Campylobacter – metalli pesanti – pesticidi e fitofarmaci - molecole aggiunte nella preparazione/trasformazione (coloranti, conservanti, appetizzanti, ecc.) - residui di imballaggi

 

Mercurio

E' nota la sua pericolosità e la sua azione sul sistema nervoso. Come tutti i metalli pesanti è caratterizzato da bioaccumulo per cui si concentra lungo la filiera alimentare, dagli organismi più piccoli a quelli più grandi.

L'impiego industriale del mercurio viene progressivamente ridotto nelle nazioni più “ricche” ma periste in quelle in via di sviluppo. In ogni caso la sua presenza non sembra ridursi con la rapidità attesa e la sua presenza nella catena alimentare sarà ancora lunga.

Il problema è molto alto nei pesci, tanto che l'Unione Europea sconsiglia alle gestanti il pesce di grossa mole, invitando a preferire i pesci piccoli (quindi con minore bioaccumulo).

La sua origine, come detto, risiede nelle produzioni industriali e i prodotti più a rischio sono i pesci.

 

Nitrati e nitriti

I nitrati entrano nella catena alimentare dal terreno. L'azoto è un concime usatissimo per la crescita dei cereali ed è anche nelle molecole più abbondanti negli effluenti degli allevamenti intensivi e nel letame.

Un'altra fonte sono i derivati come i nitriti che sono usati come conservanti nelle composte alimentari soprattutto in quelle a base di carne (insaccati, carni in scatola, ecc.)

Arrivano alle persone o con le verdure, e soprattutto con le carni conservate. Anche l'acqua, se proviene da una falda inquinata, può essere una fonte.

Nello stomaco i nitriti si combinano con le ammine aromatiche e formano nitrosammine che sono fortemente cancerogene.

Rappresentano uno di problemi maggiori per la salute. Ad esempio il documentato aumento di forme cancerose intestinali dovute a carni rosse e insaccate, ammesso da tutti i maggiori centri di studio e ricerca sul cancro, si attribuisce proprio a queste molecole.

La loro presenza è tuttavia in aumento nell'ambiente, non solo per la crescita fisiologica delle preparazioni per la conservazione degli alimenti ma anche come conseguenza del numero di allevamenti intensivi. Infatti, rispetto al letame, i liquami, cioè le feci e le urine mescolate alle acque di lavaggio, sono estremamente inquinanti perchè penetrano facilmente nel terreno, fino alle falde acquifere, contaminandole.

Un problema è anche dovuto al fatto che le coltivazioni orticole come le verdure a pronta crescita, quali l'insalata, sono concimate a dismisura per ottenere quantità elevatissime di prodotto.

Purtroppo le ragioni commerciali prevalgono sempre sulle considerazioni di salute, recentemente la stessa Unione europea ha concesso alle quattro regioni del nord Italia ( Piemonte, Lombardi, Emilia Romagna e Veneto) di derogare alla sua stessa direttiva permettendo uno spargimento di 250 Kg di azoto per ettaro di terreno… e questo in seguito proprio ad una richiesta delle regioni.

L'Unione europea in verità ha chiesto di subordinare la deroga a un preciso protocollo di trattamento dei reflui, ma il dubbio – giustificato – è che nessuno si sia poi interessato a verificare che il sistema funzioni correttamente per paura di danneggiare gli agricoltori.

Il sospetto è giustificato dal fatto che le regioni in questione da anni attuano una politica relativamente lassista ed infatti il monitoraggio delle fonti acquifere sotterranee, per verificare che non si superi la quantità di 50 mg di azoto per litro, viene effettuato non capillarmente e, quindi, nelle zone a più intensa zootecnia, causa principale del problema, scegliendo per la valutazione i siti meno a rischio.

Si deve ricordare che le norme prevedono livelli massimi di presenza dei nitriti e dei nitrati nei diversi prodotti alimentari, però punti critici permangono non solo l'impossibilità di controllare il rispetto dei livelli ma anche il bioaccumulo di queste sostanze nel corpo delle persone quando il consumo di certi alimenti è molto intenso o elevato.

 

 

Antibiotici

La presenza di antibiotici nella catena alimentare è un dato di fatto ammesso universalmente. Le stesse norme che ne regolano l'utilizzo fissano limiti massimi di presenza delle molecole chemioterapiche a livelli molto bassi.

Quindi si può dire che nella carne che arriva in tavola la presenza è bassa.

Il problema però viene tutto e completamente concentrato in altre parti della filiera con conseguenze per la salute umana non indifferenti.

Sia livello di Unione europea sia a livello Nord Americano si ammette che la metà ( in Europa) e fino all'80% negli Usa, degli antibiotici prodotti sia somministrata agli animali d'allevamento.

Se, come detto, rimangono pochi residui nei muscoli, il problema però non viene meno.

Gli antibiotici somministrati agli animali vengono in contatto con i batteri intestinali degli stessi e con il tempo e, secondo le condizioni possono, creare le condizioni per lo sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici utilizzati.

Nell'ambiente gli antibiotici e i loro cataboliti vengono in contatto con i batteri ubiquitari ambientali e anche in questa ipotesi favoriscono la crescita di agenti infettanti antibiotico resistenti.

Se poi uno dei batteri resistenti provoca malattia nelle persone diventa difficile la cura.

In Europa si calcola che circa 25.000 persone possano morire ogni anno per questo motivo, mentre negli Usa la cifra sale a 90.000.

L'antibiotico resistenza è una delle maggiore problematiche in tema di salute a livello mondiale.

Particolare preoccupante è che le bassi dosi individuali favoriscono il processo, in quanto le dosi forti agiscono più facilmente uccidendo l'agente infettante; le bassi dosi sono quelle più utilizzate negli animali per favorire la crescita ponderale e per i trattamenti preventivi. Nel terreno è invece pressochè inevitabile che la dose inquinante sia bassa in quanto mescolata con le deiezioni e l'acqua di lavaggio.

Anche grave il fatto che gli antibiotici più nuovi di ultima generazione, come i fluorochinoloni, sono già soggetti a fenomeni di resistenza, proprio perchè già usati con gli animali.

 

Diossine e pcb

La diffusione della diossine – o meglio delle diossine – nell'ambiente è inarrestabile, con tutte le conseguenze del caso per la salute umana, evento collegato alla tipologia produttiva della società attuale e come tale difficilmente controllabile. Quando si parla di diossina, si intende in verità un'ampia gamma di molecole che comprendono le diossine propriamente dette e i PCB.

Il termine generico di diossine indica i Dibenzo-p-diossine policlorurate (PCDD) e benzofurani (PCDF). A seconda del numero di atomi di cloro (1-8) e dalle loro posizioni negli anelli, si possono trovare 75 PCDD e 135 PCDF, definiti "congeneri". Sono molecole scarsamente solubili in acqua ma altamente solubili nei lipidi e pertanto quando sono assorbite dagli organismi si fissano nelle parti adipose. Altamente tossiche, permangono attive per molto tempo nell'ambiente. Non sono prodotte volontariamente ma si generano in una lunga serie di produzioni industriali e sono un sottoprodotto comune in ogni attività di combustione, dalla stufa a legna ai motori delle automobili e soprattutto degli inceneritori. A partire dal 1980 si è cercato di porre dei limiti alle emissioni, imponendo dei range alle possibili fonti, ma non si pone un freno al crescere delle fonti, cioè il singolo inceneritore è più o meno controllato, ma si lascia che gli impianti crescano di numero.

I PCB sono un gruppo di composti organoclorurati; a seconda del numero di atomi di cloro (1-10) e della loro posizione nei due anelli, sono possibili 209 composti diversi, chiamati anche "congeneri". A differenza delle diossine, i PCB avevano un diffuso utilizzo in numerose applicazioni industriali, in genere sotto forma di miscele tecniche con diverso contenuto di cloro. Erano prodotti in maniera massiccia dal 1929 fino a quando furono banditi, con una produzione mondiale totale stimata di 1,2-1,5 milioni di tonnellate. Grazie alle loro proprietà fisico-chimiche, i PCB erano ampiamente utilizzati in una serie di applicazioni industriali e commerciali. Sulla base delle caratteristiche strutturali e degli effetti tossicologici, i PCB possono essere suddivisi in due gruppi. Un gruppo composto da 12 congeneri, che mostrano proprietà tossicologiche analoghe alle diossine, è chiamato "PCB diossina-simili" (DL-PCB). Gli altri PCB, che non mostrano una tossicità diossina-simile e hanno un diverso profilo tossicologico, è definito " PCB non diossina-simile" (NDL-PCB).

Da tempo è noto che diossine e PCB permangono nell'ambiente dove si depositano, grazie al loro elevato peso molecolare, sui terreni e tramite i vegetali entrano nella filiera alimentare.

Nel corso del 2011, l'Unione europea ha pubblicato i dati relativi ad un'indagine fatta, tra il 2008 e il 2009, su fegati e carne di ovini e fegato di cervi in 8 stati membri. Gli ovini sono stati scelti perché brucano l'erba più vicino al suolo rispetto ai bovini e così facendo introducono anche piccole porzioni di terreno. Sono state così trovate alte percentuali di presenza di queste molecole nel fegato degli ovini, in quantità significativamente più elevata rispetto alla carne, e la causa è stata attribuita alla contaminazione ambientale.

L'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) che ha commissionato lo studio ha anche valutato l'eventuale consumo di fegato di ovino, rilevando che si tratta di un alimento utilizzato in una parte proporzionalmente piccola della popolazione. Utilizzando il sistema dell'analisi del rischio, si è valutata la possibilità di esposizione delle persone che si cibano di tale alimento, pervenendo – come era attendibile – ad un giudizio di non pericolosità.

Il problema più significativo che l'indagine ha rilevato, tuttavia, è l'ulteriore conferma del continuo aumento delle presenze di diossine e PCB diossina-simili nell'ambiente e della possibilità che essi entrino nella catena alimentare umana portandovi la loro tossicità, infatti si tratta di molecole conosciute come teratogene (che cioè inducono feti deformi, come si è visto a Seveso), mutageni e cancerogeni.

 

I dati europei e dell'Italia

L'Unione europea monitora il fenomeno e i dati pubblicati sono quelli che seguono.

Dati ufficiali anni 1999-2008 - PCDD/F, DL-PCB

Dati presentati (dai paesi membri UE a 17): 26.600 campioni

Dati utilizzabili per l’elaborazione: 8446

Dati Italiani: molto limitati, la maggior parte scartati perché con informazioni incomplete

 

NDL-PCB relativamente agli anni 1995-2008

Dati presentati: 21.713 campioni

Dati utilizzabili per l'elaborazione: 15.723

Dati italiani: 417 (2,65%)

 

I valori più elevati per carne di maiale, anguille, grassi animali.

Il commento necessario è che il sistema di rilevamento si fida molto della possibilità di avere risultati affidabili pur con un basso numero di campionamenti.

L'Italia non brilla certo per la sua attività e il fatto che la maggior parte dei campioni fossero inadatti perché mal prelevati segnala una sottovalutazione del problema che arriva fino agli operatori sul territorio.

 

Anche per diossine e pcb si hanno due tipologie per l'insorgenza dei problemi di salute per gli animali e le persone, in quanto, oltre all'inquinamento cronico (e crescente), vi possono essere dei casi acuti che, purtroppo, si ripetono poiché la speculazione delle imprese ripropone periodicamente l'introduzione di grassi sintetici nei mangimi per animali, con l'evidente fine di guadagnare di più utilizzano materie prime di scarso valore, o meglio rifiuti veri e propri.

Dopo lo scandalo del 1999, quando i mangimi di polli e suini furono ritrovati avvelenati dalla molecola, altri episodi si sono avuti tra i quali si ricordano i riscontri della molecola nel 2000 di nuovo nei polli, 2003 nei pesci, 2004 nei polli e nei pesci, 2006 nei maiali in Belgio , 2007 in Campania, 2008 in Irlanda, nel Casertano e a Taranto (emissioni Italsider), 2009 riscontri di laboratorio nei polli in Italia, gennaio 2011 in mangime per polli in Germania.

Il problema pertanto ha un duplice aspetto: da un lato vi sono comportamenti illegali e fraudolenti di chi vuole speculare mettendo a rischio anche la salute delle persone mentre dall’altro si evidenzia una lezione importante rappresentata dal fatto che si deve mettere sotto controllo il numero delle fonti di combustione, a partire dagli inceneritori, se si vuole diminuire la presenza delle molecola nella filiera alimentare mentre questa segnalazione si può dire che venga del tutto ignorata dalle autorità sanitarie.

 

Isotopi radioattivi

I radionuclidi sparsi sul territorio negli incidenti nucleari, come quello occorso a Chernobyl nel 1986, rappresentano un rischio per la salute non solo per l’irraggiamento di cui sono fonte ma, soprattutto, per la patogenesi espletata per ingestione a seguito del loro ingresso nella catena alimentare. In queste condizioni, infatti, la loro azione è particolarmente rilevante e subdola agendo soprattutto a livello endocellulare.

Per quanto riguarda i problemi sanitari legati all'irraggiamento a seguito di eventi di grande intensità (es. esplosioni nucleari) comportanti danni somatici e genetici specifici gravi, il cosiddetto effetto deterministico o “a soglia” (ustioni da radiazione, malattia da raggi, ecc.), esistono studi approfonditi degli effetti su uomo ed animali effettuati dopo l'impiego bellico delle armi atomiche in Giappone ed in occasione degli esperimenti nucleari in atmosfera.

Poco invece si sa sugli effetti stocastici, cioè “probabilistici”, che si hanno a seguito di esposizioni modeste (es. contaminazioni attraverso gli alimenti). Questi ultimi non determinano patologie specifiche “da raggi” ma modificano la percentuale di incidenza di malattie normalmente diffuse quali le diverse neoplasie, le patologie dovute all'abbassamento delle difese immunitarie e, secondo recenti studi ancora in corso, anche delle malattie cardiovascolari.

La situazione, nelle nostre regioni, è caratterizzata da livelli generalmente molto bassi di Cesio 137 e, in misura ancora inferiore, di Stronzio 90 tali da non destare preoccupazioni per le patologie specifiche, ma, con la presenza di rari picchi distribuiti sul territorio, è in grado di influire sulla salute con effetti stocastici.

Le vie di ingresso nella catena alimentare, con conseguente compromissione della salute umana, possono essere identificate essenzialmente in tre:

l’assunzione dei radioisotopi da parte dei vegetali che vengono direttamente consumati dall’uomo;

l’assunzione dei radioisotopi da parte dei vegetali che vengono poi utilizzati come foraggi per il bestiame, il che conduce alla produzione di alimenti di origine animale contaminati;

la contaminazione dell’acqua tellurica con conseguente trasporto dei radionuclidi all’uomo sia attraverso il consumo diretto, sia con l’ingresso nei vegetali come precedentemente descritto.

Questi radioisotopi sono sostanzialmente elementi metallici che, negli organismi viventi, vanno a sostituire, rispettivamente, il Potassio ed il Calcio; per questo, sia nei vegetali, primo anello della catena alimentare, sia negli animali che li consumano, si localizzeranno in distretti anatomici specifici. La loro assunzione è proporzionale non solo alla loro concentrazione relativa rispetto all’elemento stabile ma anche, legandosi a nutrienti di diversa natura e funzione biochimica, alla richiesta alimentare esplicata per queste molecole, in quel particolare momento metabolico, dai consumatori del secondo anello della catena alimentare con effetti sanitari alquanto diversi.

Ad esempio è facile comprendere che è ben diverso se un atomo di Cesio 137 si lega a molecole vegetali non assimilabili a livello intestinale, come la cellulosa o la lignina, che “attraversano” solo l'apparato digerente in un tempo relativamente breve, o se lo si trova legato ad un aminoacido essenziale, sicuramente ed avidamente assorbito a livello intestinale, che diventerà costituente di una proteina cellulare.

Per questi motivi non si può determinare una concentrazione-soglia di sicurezza; anche a dosi dell’ordine di grandezza della radioattività naturale questi si sommano accelerando i fenomeni biologici che quest’ultima determina. Va ricordato che i radionuclidi naturali, normalmente presenti in tutti i materiali, sono responsabili comunque di parte dell’incidenza delle malattie degenerative e genetiche presenti prima dell’Era Atomica ma, per contro, anche delle mutazioni puntiformi che hanno determinato l’evoluzione darwiniana che ha portato fino all’uomo.

La somma a questi di radionuclidi contaminanti, indipendentemente dalla loro natura, non fa che aumentare l’incidenza della cosiddetta mutazione spontanea con aumento della frequenza delle alterazioni genetiche e delle malattie associate.

Inoltre, l’aumentata velocità di mutazione in organismi già naturalmente facilmente modificabili come virus o batteri significa anche un aumento della velocità con cui si presentano nuove forme patologiche per l’uomo o modificazioni della resistenza ai farmaci.

E’ in questa ottica che possono essere lette le insorgenze di fenomeni patologici come quelli legati a E. coli, cioè l’insorgenza dei ceppi O157 ed il più recente O10, in cui, oltre a modifiche dell’azione patogena nei confronti dell’organismo ospite, s’è avuta una generalizzata antibiotico resistenza legata a piccole mutazioni ed a una fortissima pressione selettiva ad opera dello sconsiderato uso di antibiotici e loro dispersione nell’ambiente.

 

Aflatossine

L’alterazione dei sistemi di allevamento è alla base non solo della sindrome della mucca pazza ma la si può giustamente chiamare in causa per una forma patologica che ha suscitato un notevole interesse negli ultimi tempi, legata allo sviluppo di muffe che producono tossine conosciute come aflatossine, la cui presenza nel latte è sempre più frequente. Come ha ricordato Pierluigi Grande su “Medicina Democratica”, si tratta una famiglia costituita da più di 330 composti, prodotte da diverse muffe, perlopiù appartenenti ai generi Aspergillus, Penicillum e Fusarium. Sono sostanze sia ad azione tossica sia con possibili azioni mutagene, che cioè inducono cambiamenti nel patrimonio genetico. Hanno dato anche vita ad episodi di intossicazione acuta, come in Russia negli anni ’40 e in Inghilterra dove, negli anni ’60, furono interessati circa 100.000 tacchini e fu descritto come malattia “X”. E’ stata dimostrata una correlazione tra la contaminazione da aflatossine delle derrate alimentari e l’elevata incidenza di epatocarcinomi e cirrosi epatiche. Si possono inoltre manifestare effetti immunodepressivi, teratogeni e mutageni, e tale ampio spettro di effetti è da far risalire alla loro capacità di interagire con gli acidi nucleici cellulari.

Non è sempre facile diagnosticare negli animali produttori di latte il verificarsi dell’intossicazione, in quanto i sintomi di solito sono piuttosto generici e a volte l’intossicazione è quasi asintomatica, cioè gli animali non presentano sintomi di malattia o alterazione e non è possibile sospettare la contaminazione del latte, che diventa pertanto veicolo delle aflatossine per i consumatori. Le tossine appaiono scarsamente sensibili all’azione dei trattamenti termici subiti dal latte e, neanche la pastorizzazione costituisce un efficace strumento di protezione.

Come spesso avviene l’Unione europea non stabilisce un divieto assoluto ma fissa, con il Regolamento 1525/98, un limite massimo per l’aflatossina M1 nel latte alimentare di 50 ppt (50 miliardesimi di grammo per ogni chilogrammo di latte). A proposito ricordiamo che negli Usa il limite molto più permissivo, è di 500 ppt, cioè 10 volte più alto di quello fissato dalla Ue.

Nei prodotti derivati vi è una concentrazione delle tossine, come dimostrano studi sul grana che hanno evidenziato un aumento di percentuale di aflatossina dal 3,3 al 3,7 dopo un anno di stagionatura.

L’aumento progressivo delle problematiche, è stato calcolato che in Lombardia il 20 % del latte sia scartato per la loro presenza, richiede che si faccia opera di prevenzione sull’alimentazione del bestiame, considerando però principalmente il motivo per cui si scatenano: una alimentazione eccessivamente ricca di cereali, specialmente di mais, che ne è la fonte primaria. Si deve dire che la prima causa di questa crescita è dovuta proprio al cambio di alimentazione che si è avuto nel corso del tempo, quando si sono trasformati i ruminanti da mangiatori di erba a mangiatori di cereali. La vera prevenzione sarebbe una profonda ridiscussione del sistema di alimentazione attuale per aumentare al somministrazione di erba e fieno. Anche questa forma patologica segnala che i cambiamenti indotti, per quanto possano sembrare innocui, possono generare conseguenze non prevedibili e gravi e dovrebbe suggerire attenzione prima di proporre nuovi e più gravi sconvolgimenti ai quali si pensa come mais e soia geneticamente modificati.

 

Listeria

La listeria, agente patogeno che causa la listeriosi, è una patologia sempre più presente nei cibi di tutto il mondo. Ultimamente è stata segnalata in confezioni di insalate in California, con 30 morti, e in tonno inscatolato messicano.

In Europa, l'EFSA denuncia una statistica di 1554 casi nel 2007 (1,6 casi ogni 100.000 persone), con un tasso di mortalità del 20%, che ha colpito in particolar modo gli anziani. Livelli superiori ai limiti di sicurezza previsti per legge per i batteri della Listeria sono stati raramente riscontrati nei cibi pronti, mentre più spesso tali limiti sono stati superati nel pesce affumicato e in altri tipi di prodotti della pesca pronti per il consumo, seguiti da carni pronte e formaggi.

Le nozioni sulla sua origine non sono ancora standardizzate del tutto, anche se è patologia propria degli animali, si tende a considerare le forme umane come conseguenza di contaminazioni lungo la filiera della preparazione (come nelle insalate) e della trasformazione (caso del tonno) degli alimenti. Il fatto che non ci sia certezza sull'origine rende problematiche le azioni di contrasto,; però è significativo il fatto che la patologia sia in aumento, seppure lento e contenuto, a dimostrazione della difficoltà, in filiere molto lunghe, di tenere sotto controllo tutti gli elementi critici.

 

Salmonella e Campylobacter

Si possono considerare insieme in quanto le problematiche sono condivise. Sono batteri molto presenti negli allevamenti intensivi dai quali possono entrare nella catena alimentare.

Due caratteristiche comuni sono piuttosto preoccupanti:

sono la principale causa di tossinfezioni alimentari in Europa e sono caratterizzati dalla presenza di molti ceppi antibiotico resistenti. Le statistiche epidemiologiche segnalano una presenza costante delle patologie nella popolazione umana.

In Italia sono più numerose le segnalazioni relative alla Salmonellosi mentre in Europa lo sono quelle per Campylobatteriosi,; nel nostro paese l'attenzione verso la Salmonellosi è confermata dal fatto che sono previsti piani di monitoraggio e di controllo.

Nel 2007, nell’Unione europea la campilobatteriosi è stata ancora la malattia zoonotica registrata con maggiore frequenza nell’uomo, con 200.507 casi denunciati e confermati (80 casi ogni 100.000 persone); gran parte degli Stati membri ha denunciato un incremento nel numero dei casi. La salmonellosi era ancora al secondo posto, con 151.995 casi confermati di zoonosi umana. (58 ogni 100.000 persone). Negli ultimi quattro anni, tuttavia, l’incidenza della salmonellosi ha continuato a decrescere nell’Unione europea con una tendenza statisticamente significativa.

Per quanto riguarda i prodotti alimentari, i campioni positivi al Campylobacter, ancora una volta, erano in gran parte costituiti da carne fresca di pollo; in media il 26% di tali campioni è risultato positivo. Il Campylobacter è stato riscontrato frequentemente anche in esemplari vivi di bovini, suini e pollame. Le proporzioni denunciate dei campioni positivi di Campylobacter sono rimaste ad alti livelli, senza che si evidenziasse alcuna riduzione generale.

La Salmonella è stata trovata più frequentemente nella carne fresca di pollo e maiale, con percentuali di campioni positivi che, in media, erano pari rispettivamente al 5,5% e all’1,1%. Alcuni Stati membri hanno denunciato lo 0,8% di uova da consumo positive alla Salmonella, mentre più raramente il batterio è stato riscontrato in prodotti lattiero-caseari, verdura e frutta. Nella popolazione animale, la Salmonella è stata osservata con particolare frequenza nel pollame. Il 2007 è stato il primo anno in cui gli Stati membri hanno attuato i nuovi programmi di controllo della Salmonella sul pollame da riproduzione della specie Gallus gallus su base obbligatoria, e già 15 Stati membri hanno dichiarato una frequenza inferiore all’obiettivo di riduzione della Salmonella dell’1% sancito dalla legislazione comunitaria.

 
Relativamente all'antibiotico resistenza, sempre l'EFSA propone i seguenti dati statistici:

per la Salmonella è stata frequentemente segnalata resistenza ad antimicrobici comuni (tetraciclina, ampicillina e sulfonamide), con una percentuale campioni resistenti negli animali dal 13% al 47% tra gli Stati che hanno fornito i dati. I livelli di resistenza erano maggiori nei suini e bovini rispetto al pollame. Però la resistenza a ciprofloxacina e acido nalidissico è risultata più alta per Salmonella da Gallus gallus, con percentuali del 18-19% tra i dati pervenuti.

 

Per il Campylobacter la resistenza è risultata più frequente rispetto alla Salmonella da alimenti e animali. La resistenza alla ciprofloxacina e all’acido nalidissico variava tra il 34% e il 62%, raggiungendo i valori massimi per il Campylobacter in Gallus gallus e carne di pollo.

Gli elevati livelli di resistenza alla ciprofloxacina osservati negli isolati di Salmonella, Campylobacter e indicatore E. coli costituiscono motivo di preoccupazione, in quanto i fluorochinoloni sono antimicrobici di fondamentale importanza in medicina umana.

Negli isolati esaminati di Salmonella, Campylobacter, E. coli ed enterococco sono stati registrati livelli di resistenza anche verso macrolidi e cefalosporine di terza generazione, anch'essi molto importanti in medicina umana (07 07 2010).

Si deve ricordare come in una Risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2011 si ammette che quasi la metà degli antibiotici prodotti è somministrata agli animali.

 

E coli VTEC

I dati Efsa rilevano una presenza delle tossinfezioni da E coli Vtec molto inferiore in Europa rispetto agli Usa, i dati europei segnalavano nel 2007 2.905 infezioni (l'1 per cento di quelle da campylobacter, quindi 0,8 casi ogni 100.000 persone, anche se nel 2011 vi è stato un episodio con più di 30 morti che si è manifestato in Germania.

Relativamente alla resistenza del batterio, l'EFSA denuncia un frequente resistenza a tetraciclina, ampicillina e sulfonamide, con livelli di resistenza tra il 18% e il 55% . I livelli di resistenza più bassi sono stati registrati nei bovini. La resistenza a ciprofloxacina e acido nalidissico andava dal 3% al 46%, raggiungendo il livello più alto nel pollame.

 

Metalli pesanti

(rame, zinco, ferro, cadmio, ecc.)

I metalli pesanti entrano nella catena alimentare indirettamente e direttamente.

Indirettamente in quanto le molecole sono utilizzate nelle formulazioni dei fitofarmaci a integrare l'azione della sostanza principale perchè aiutano l'adesione del presidio chimico alle pareti dei vegetali

Direttamente perché sono somministrate agli animali come auxinici sfruttando la loro proprietà di favorire una crescita di peso più veloce quando sono aggiunti agli alimenti degli animali, probabilmente per l'azione sviluppata a livello intestinale. Come logica comanda la prassi prevede una somministrazione a dosaggi massicci e il ricorso a sostanze chimiche non sempre raccomandabili.

In Italia (La Stampa, 14 dicembre 1996) sono stati rinvenuti allevamenti nei quali venivano usate sostanze sospette di esser cancerogene per stimolare la crescita dei conigli, tra cui dimetridazolo e cloramfenicolo, quest’ultimo ritirato dall’uso umano perché cancerogeno.

Il NAS ha rinvenuto animali cui erano stati somministrati cadmio e cromo in quantità eccessiva, per  ottenere un ingrassamento più veloce e per nascondere eventuali somministrazioni di sostanze ormonali vietate.

I metalli pesanti non vengono distrutti in alcun modo dagli animali, ma in parte si accumulano negli organi bersaglio, reni, fegato, intestino, muscoli e in parte passano nei terreni e con la carne ai consumatori.

L'Unione europea ha preso atto del problema ed ha emanato il regolamento Ce 1334/2003 in vigore dal 26.01.2004, che impone un limite massimo all'utilizzo di tale presidi. Naturalmente le attività di controllo sono pressochè inesistenti.

Paolo Mantovi e Giuseppe Bonazzi, su L'informatore agrario, n. 4 del 2004, presentano dati per cui nei terreni sono risultati valori di circa 1.000 tonnellate di rame e 6.000 di zinco.

I metalli pesanti con i vegetali possono ritornare nel corpo degli animali e creare un circolo vizioso, a cui si sommano le ulteriori aggiunte con i mangimi. Tipico è il caso del cadmio, rilevato in quantità crescenti a livello ambientale, che, notoriamente, è una molecola molto utilizzata in campo zootecnico, anche perchè ne è stato proposto l'utilizzo come auxinico, cioè per favorire la crescita, in sostituzione degli antibiotici.

Pure il rame dà origine ad un simile circuito. Quando il mangime dei suini viene integrato nella razione alimentare passa nelle deiezioni, se queste sono sparse abbondantemente come fertilizzante rimangono nel masi e in altri seminativi dai quali, con i mangimi, ritornano negli animali.

L’elevata presenza di metalli pesanti nei mangimi si può rilevare con estrema facilità: basta verificare sui cartellini che accompagnano i mangimi la presenza delle ceneri, cioè di quelle molecole che resistono a 600 gradi centigradi. La percentuale residuante è un indicatore della loro presenza.

I metalli pesanti sono tossici quando raggiungono concentrazioni elevate, come quasi tutte le sostanze chimiche di sintesi, coloranti, conservanti, ecc.

 

Sostanze coloranti, conservanti, appetizzanti

Sono prodotti chimici utilizzati per migliorare, in modo apparente, i mangimi e pertanto entrano direttamente nella catena alimentare sia in quella umana sia in quella animale.

I coloranti si utilizzano, come dice il loro nome, per colorare i prodotti di origine animale; ad esempio i caroteni e le xantofille per far diventare più rosso il tuorlo dell’uovo; i conservanti servono per migliorare la conservabilità del mangime anche - e soprattutto - quando questo è fatto con sostanze scadenti che renderebbero più difficile la conservazione; gli appetizzanti servono a migliorare artificialmente il gusto dei mangimi per spingere gli animali a sovra alimentarsi, quindi per farli crescere più velocemente. Queste sostanze non sono indispensabili.

Possono essere inseriti in quantità regolare o sovrabbondante. L’ultima ipotesi è chiaramente illegale e presuppone un comportamento fraudolento, perseguito per speculare maggiori vantaggi e sicuramente pericoloso per le ricadute indotte. La probabilità che accada è tuttavia molto alta perché i controlli sui mangimi sono numericamente scarsi e il guadagno permesso da tale operazione è molto alto.

Anche l’uso controllato, e rispettoso dei livelli stabiliti, non è tuttavia scevro da pericoli in quanto si deve ricordare l’effetto accumulo: la continua introduzione di quantità ridotte ma ripetute quotidianamente determina comunque una pericolosa concentrazione delle sostanze nel corpo animale.

Negli alimenti ad uso umano, l'introduzione del principio attivo avviene direttamente da parte delle persone e le eventuali conseguenze sono più immediate.

Nel tempo le autorità sanitarie hanno dovuto emettere decreti per vietare alcune sostanze perché pericolose per la salute; però il problema può essere solo spostato nel tempo: una molecola oggi giudicata innocua può dimostrarsi con l'uso, al contrario, causa di problemi di salute.

 

Pesticidi, fitofarmaci

Le molecole chimiche, usate per la protezione dei raccolti, rimangono sui vegetali ed entrano nell'alimentazione sia delle persone sia degli animali. Il problema da solo richiederebbe una trattazione lunghissima, in sintesi si può dire che le autorità sanitarie si preoccupano di stabilire limiti massimi di presenza però senza imporre un valore complessivo da non superare; i test ufficiali eseguiti regolarmente rilevano molto spesso valori nella norma per le singole sostanze, che però diventano di molto superiori sommando tutti quelli che hanno effetti e conseguenze uguali. La motivazione è sempre quella di non danneggiare il mondo produttivo e il settore nel suo complesso.

A riprova vi è l'ennesimo scandalo che ha coinvolto l'EFSA Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare e la sua sede operativa di Parma. Nel marzo 2011, con una lettera al Commissario Ue per la salute e i consumatori, John Dalli e alla direttrice Efsa, Catherine Geslain-Lanéelle, l’organizzazione Corporate Europe Observatory denuncia che almeno quattro esperti del Consiglio d’amministrazione dell’agenzia avevano legami con organismi di lobby dell’industria alimentare. Legami utili perchè l'agenzia delibera la possibilità di commercializzare i prodotti alimentari e i loro composti. Da notare che sul sito dell’agenzia si legge: “I membri del comitato scientifico, dei gruppi di esperti scientifici e dei gruppi di lavoro, nonché gli altri esperti esterni che contribuiscono all’attività dell’Efsa, sono selezionati sulla base della loro esperienza e competenza scientifica e di criteri oggettivi e trasparenti”.

 

Molecole chimiche derivate dagli imballaggi.

Sempre più frequentemente arrivano segnalazioni che lanciano allerta in quanto, con l'uso, si constata che le pellicole con cui si avvolgono i cibi possono rilasciare sostanze estremamente dannose per la salute. Ad esempio da qualche tempo a questa parte si è rilevata la pericolosità del Bisfenolo A come cancerogeno, e la molecola entra nella composizione di alcune plastiche tra le quali le pellicole aderenti che avvolgono i cibi.

La situazione, come si può immaginare, è oltremodo complessa in quanto i moderni sistemi di preparazione e commercializzazione dei cibi richiedono confezioni già pronte e i materiali impiegati denunciano la loro eventuale pericolosità solo in seguito all'uso per cui si determina una realtà ben nota per cui le necessità produttive spingono verso un certo tipo di realizzazione le cui conseguenze saranno pagate da tutti i cittadini in un tempo però che non è noto nel momento in cui si introduce una nuova metodologia o tecnologia o materiale

 

Conclusioni

Il controllo dei residui nei prodotti di origine animale è campo di intervento della Veterinaria pubblica, la quale è impegnata a garantire gli interessi del consumatore, piuttosto che gli interessi dell’economia di mercato e dell’industria zootecnica, alimentare, farmaceutica. Le specificità dell'attività sono soprattutto indirizzate al controllo della filiera alimenti di origine animale, dalla produzione allevamento alla macellazione, lavorazione, trasformazione, conservazione e somministrazione; vigilanza sull'utilizzo del farmaco veterinario; controllo dell'inquinamento ambientale da reflui zootecnici e scarti di origine animale; controllo agenti nocivi di origine ambientale e non attraverso uso di animali sentinella (domestici e selvatici)

Il sistema attuale di controllo della filiera basato sul principio dell'analisi del rischio è probabilmente l'unico possibile vista l'enorme massa di alimento circolante in ogni parte del pianeta. Ciononostante non si possono ignorare i punti critici e soprattutto il fatto che l'aspetto più preoccupante non sono i casi acuti che esplodono di tanto in tanto. Non è un caso se proprio le forme improvvise danno luogo a messaggi tranquillizzanti i consumatori, perché questi, anche se gravi per un certo numero di persone, sono circoscritti e soprattutto sporadici e pertanto si prestano bene, nella loro drammaticità, a diffondere un senso tutto sommato di sicurezza.

Al contrario sono le contaminazioni di basso livello, sovente non rilevate o addirittura permesse dalle norme, quelle che invece devono preoccupare maggiormente.

La presenza ricorrente di molecole che si accumulano nell'organismo è un motivo di insorgenza di patologie a lunga incubazione e non sarà un caso che sempre più si chiama in causa l'alimentazione per le forme tumorali.

È però un problema difficile da affrontare in quanto le contaminazioni sono il più delle volte collegate proprio ai sistemi produttivi i quali, a loro volta, sono resi necessari dall'enorme richiesta di cibo di 7 miliardi di persone che si avviano a diventare 9 miliardi.

La ridefinizione dovrebbe passare attraverso una rivisitazione di tutto il sistema, ad iniziare dalla tipologia degli alimenti che si producono e si consumano ma non trascurando le grandi quantità di cibo che vanno sprecate.

Se non si ridiscute la filiera nel suo complesso, nel futuro si protrarrà una sorta di competizione tra il sistema produttivo, che incentiverà le quantità e farà aumentare conseguentemente i problemi di residui, le contaminazioni e le autorità sanitarie, tese a limitare i danni sanitari collegati.