Dall’Irlanda e da Taranto agli inceneritori il problema è grave

Nell’ultimo anno si sono verificati più segnalazioni di presenza di diossina, ricordiamo le pecore inquinate dai fumi esalati dall’Ilva di Taranto, il latte di bovini e  bufale in Campania e bovini e maiali intossicati da mangime in Irlanda. Gli eventi segnalano esattamente il problema della diossina nel momento attuale: un livello eccessivo di emissioni della sostanza in conseguenza di alcune particolari produzioni, come gli altiforni e  gli inceneritori, e una introduzione fraudolenta della stessa nelle catene alimentari degli animali d’allevamento intensivo. È necessario approfondire la questione tenendo presente il portato complessivo: la molecola è estremamente pericolosa, teratogena –cioè danneggia il feto – mutagena – provoca cambiamento della struttura dei geni – e cancerogena ed è in costante aumento nell’ambiente a causa delle scelte dissennate che si stanno facendo.

È un problema che riguarda tutta la società, la salute di tutti e le soluzioni devono essere condivise e complessive.

 

L’occasione si presta ad una breve riepilogo della vicenda diossina in generale.

La diossina è entrata nella vita italiana improvvisamente il 10 luglio 1976 quando 10 –12 chili, anche se qualcuno dice una minore quantità, della sostanza sono usciti dalla ditta Icmesa in seguito ad uno scoppio. La molecola era già conosciuta altrove perchè in Germania vi era stato un incidente fin dal 1953 alla Basf e soprattutto essa fu impiegata come defoliante, con il nome di Orange agent (agente arancio) durante la guerra del Vietnam, dove le forze armate statunitensi la sparsero a piene mani dai bombardieri e dai mezzi di terra. Si parla di 100 milioni di litri o, nell’ipotesi più conservativa, di 72 milioni di litri e soltanto per quanto riguarda la diffusione dall’aria. Lo scopo era affamare i Vietcong, il risultato fu una serie di morti che continua ancora oggi. E la sconfitta per l’esercito statunitense.

 

            Diossina e pcb da quel momento non sono più usciti dalla nostra vita.

Come formula chimica le diossine – circa 200 quelle conosciute ­– sono composti organici caratterizzati da  un anello alifatico formato da atomi di carbonio idrogeno e cloro. Quella conosciuta come diossina è la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, spesso indicata con l'abbreviazione TCDD. Sono simili alle diossine i policlorobifenili (Pcb) anch’essi caratterizzati dalla stessa formula chimica bruta.

Gli effetti delle diossine, come si erano verificati fin dall’episodio di Severo, quando si tratta di presenze quantitativamente elevate, sono forme di cloracne, cioè la formazione di bolle rosse che poi suppurano e provocano la necrosi e  caduta della pelle, intossicazione del fegato e dei reni, teratogenesi, cioè malformazioni dei feti, cancerogenesi e mutagenesi, cioè cambiamento della struttura dei geni; a dosi più basse e ripetute sono questi ultimi gli effetti generati.

In casi di intossicazioni molto alte può sopraggiungere la morte dovuta evidentemente alla compromissione del fegato e dei reni. Stessi effetti si attribuiscono ai Pcb.  La  vicinanza chimica e di formazione tra le diverse molecole di diossine e pcb indica che, anche se la diossina è la voce più conosciuta e citata, si è quasi sempre in presenza di una miscela composta da più sostanze chimiche. Ai fini pratici però si può continuare a parlare semplicemente di diossina o diossine.

 

Fin dal primo episodio gli ambientalisti si erano preoccupati per il grave evento ma non immaginavano certo l’evoluzione futura.

 

            Che iniziò quando un veterinario di Lione analizzando il latte di bovini che pascolavano nei prati nelle vicinanze dell’inceneritore della città vi individuò la presenza della molecola poi rinvenuta anche nei visceri e nelle carni.

            Da quel momento si fece attenzione alla presenza delle diossine nell’ambiente e si scoprì che esse originano quasi ovunque vi sia una combustione a cui partecipano materie che contengono gli atomi in questione, carbonio cloro idrogeno e ossigeno. Per questo la casistica che la sostiene è complessa e molto varia. Si va dalle grande combustioni, forni di acciaierie e inceneritori, ad esempio, alle piccole, dalle stufe a legna ai milioni di motori a combustioni interna di automobili e mezzi pesanti.

È del tutto evidente che una tale varietà di emissioni genera inevitabilmente una diffusa presenza nell’ambiente ed infatti la quantità è in continuo aumento come dimostra quello che viene definito “rumore di fondo” ovvero la presenza ambientale normale, in assenza di fatti straordinari e di punte per incidenti o per localizzazione di impianti a rischio. Ne deriva una presenza subdola della molecola poiché ci si deve preoccupare non solo per le punte eccezionali ma anche per la continua presenza.

 

TABELLA 1

Casi di inquinamento ambientale

 

Germania Basf 1953

Vietnam 1961-1975

Seveso 1976

Love Canal Stati Uniti 1978

Time Beach Missuori – Stati Uniti - 1971-83

 

 

TABELLA 2

Casi di inquinamento di derrate alimentari

 

Belgio polli e maiali 1999

Mangimi tedeschi 2003

Polli e suini Olanda e Belgio 2006

Campania 2007

Irlanda 2008

 

            Ben presto si è dovuto constatare un’altra grave problematica, l’inquinamento della catena alimentare in maniera fraudolenta da parte di produttori senza scrupoli che introducono la diossina come materia grassa per far crescere più in fretta gli animali, sfruttando il fatto che questi sono dei formidabili riciclatori di materie di scarto.

           

            La prima volta che si scoprì la presenza della diossina nei mangimi fu nel 1999 quando un veterinario di fronte a morie improvvise di maiali, inspiegabili, decise di approfondire il caso e rilevò una quantità assolutamente eccessiva di diossina nei prodotti nei quali era stata addizionata.

Come si vede nella Tabella 2, i casi noti di inquinamento alimentare, e molti forse saranno sfuggiti, sono continuati per tutti questi anni, nel 2003 fu la volta dei mangimi tedeschi, di nuovo polli e suini in Olanda e Belgio nel 2006, infine appena pochi giorni fa in Irlanda di nuovo lo stesso problema.

 

            Diverso è il caso delle bufale della Campania e delle pecore di Taranto; le prime intossicate dalla diossina che si sprigiona dall’incenerimento dei rifiuti a cielo aperto e le seconde  dall’erba inquinata da fumi provenienti dall’Ilva di Taranto.

La Campania e Taranto sono piuttosto le segnalazioni di problemi di inquinamento ambientale del tipo di quelli segnalati nell’altra tabella, come Seveso e gli altri due episodi citati degli Stati Uniti.

 

            L’analisi dei casi di inquinamento della catena alimentare individua facilmente la causa nell’ingordigia dei produttori che speculano guadagni introducendo materie di scarto, recuperate come rifiuti pericolosi da smaltire  e per i quali svolgono un servizio retribuito, e li introducono nei mangimi, ricavandone così un doppio guadagno. Come noto, il guadagno dei mangimi si regge sull’utilizzo di materie non di primissima qualità, e quindi di minor valore e prezzo, sfruttando il  bilanciamento della composizione per ottenere risultati soddisfacenti per gli allevatori con il maggior ricavo possibile per i mangimisti; ciononostante costoro non esitano a provare strade estremamente pericolose per lucrare un utile ancora maggiore. Quando poi si esagera è facile che qualcosa vada storto e la truffa e l’adulterazione venga scoperta, con  tutte le conseguenze del caso.

 

            Molto più interessante, si fa per dire con ironia, il caso della Campania e di Taranto per le considerazioni che induce.

Gli animali sono in questi eventi le sentinelle ambientali che denunciano una situazione pericolosa per tutti. La molecola emessa in forma concentrata da impianti di grandi combustioni, ricade dall’atmosfera sui terreni prossimi essendo “pesante” rispetto ad altre e dai vegetali può entrare nella catena alimentare. Gli erbivori sono segnalatori privilegiati in quanto introducono, evidentemente, elevate quantità di vegetali e concentrano le diossine in fegato reni e nelle sostanze grasse, anche nel latte nel quale si individuano facilmente.

 

Allora che fare.

La diossina – le diossine – (e i pcb loro degni compari) sono un problema che non si può affrontare se non con scelte difficili e complesse.

 

            Innanzi tutto dobbiamo ragionare sull’argomento controlli.

Quando si parla di diossina e pcb le risposte ufficiali sono tranquillizzanti: non preoccupatevi ci sono i controlli… gli inceneritori meritano un discorso a parte, già, però, per gli alimenti è bene ricordare che i controlli sono numericamente ad un livello molto basso: sui mangimi, ad esempio, in Italia si fanno poco più di duecento controlli all’anno, ed il consumo è di 18 milioni di tonnellate annue… l’intensità dei controlli è nei due numeri. Un altro indicatore è che le criticità emergono in seguito ad inconvenienti rilevati in maniera occasionale o da segnalazioni specifiche, ma non dalle normali attività di verifica. 

            Dall’insieme delle considerazioni emerge con forza che, per quanto riguarda gli inquinamenti della catena alimentare, si deve agire alla radice, sui sistemi di allevamento e sugli stili di vita. Finchè si consumerà carne in grande quantità e si vorranno contenere i prezzi avranno buon gioco gli speculatori disonesti e spregiudicati che cercheranno mezzi vecchi e nuovi per guadagnare sempre di più. La strada deve passare anche attraverso una seria discussione con i consumatori per indurli a preferire consumi di carne più bassi così da poterla pagare di più per permettere sistemi di allevamento meno speculativi. Ne va di mezzo la salute di chi mangia la carne: solo nel 2006 si è ammesso che circa 8000 casi di cancro sarebbero imputabili alla vicenda della diossina in Belgio del 1999 nella quale circa 50 chili di pcb e diossine finirono nei mangimi. I controlli in questi casi servono a poco perché sono troppo alte le quantità da controllare, ai milioni di animali che ogni anno entrano nell’alimentazione umana. E le analisi costano, circa 900 euro per ogni esame. È necessario che si sappia.

 

            Come detto un discorso a parte si deve fare per l’inquinamento ambientale, da grandi centri di combustione come acciaierie altiforni in genere, esempio cementifici,  e inceneritori. Dapprima si deve ragionare sul fatto che in una società complessa e multiforme sono molteplici le fonti di emissione, dalle piccole alle grandi, e che quindi per contenere le negatività è indispensabile limitare qualunque nuova sorgente. Come già detto il plafond di presenza della diossina è in costante aumento con ricadute pericolose per la salute di tutte le persone.

In quest’ottica va affrontato il ragionamento sugli inceneritori. Gli impianti sono nati e si sono moltiplicati da qualche decina di anni quando però non si conoscevano ancora bene tutte le dinamiche della diossina. È per questo che molte nazioni che hanno seguito questa strategia adesso mettono in atto altre soluzioni a partire dal riciclo e dal riutilizzo riuso integrata dalla riduzione dei rifiuti.  

In Italia, come sovente accade, la costruzione degli impianti è partita in ritardo rispetto alle altre nazioni e paradossalmente adesso che altri hanno deciso di cambiare rotta nel nostri paese, miopemente e ciecamente, si intraprende una strada abbandonata e considerata superata.

Certo la promozione impiantistica è direttamente collegata dal desiderio di speculazione, gli impianti sono costosissimi e si prestano bene a traffici clientelari.

E non si deve credere alle affermazioni tranquillizzanti sulla sicurezza delle nuove strutture. Finora non si è risolto il problema di base, ovvero la grande affinità che hanno tra di loro gli atomi formanti diossine e pcb. La molecola infatti si “rompe” a temperature molte elevate, oltre i  1200 gradi centigradi, ma gli atomi la ricompongono non appena la temperatura si abbassa.  Lo sanno bene gli addetti ai controlli che prevedono analisi dei fumi al camino, e qualcuno spettacolarmente le effettua anche con gli elicotteri,  proprio sapendo di cercare qualcosa che non troveranno. Non si evita però che la diossina, riformatasi con il raffreddamento dei fumi, ricada ad una certa distanza dalla fonte emittente.

I cittadini sono tranquillizzati ma la diossina in silenzio continua a diffondersi nell’ambiente.

 

Come nell’altra problematica la soluzione non sono più controlli e più garanzie (quali poi?) ma cambiamenti di stili di vita: diminuzione dei rifiuti raccolta differenziata  e riciclo riuso riutilizzo dei materiali, così da ridurne la massa e non richiedere la costruzione degli inceneritori.

 

In conclusione ecco che a partire da un fatto grave come Seveso, ragionando sulle diossine si arriva ad un problema ben noto nella società attuale, l’utilizzo delle risorse e le scelte amministrative e quindi il ragionamento fa comprendere come tali molecole non siano una semplice questione di analisi e controlli ma bensì richiedano decisioni collettive e private di primaria e fondamentale importanza.

Insomma dal latte “alle diossina” della Campania e della Puglia si finisce per parlare di inceneritori.