Qualche mese fa è stato dato risalto sugli organi di informazione al progetto di un comune della Sicilia che, come esempio di attenzione ambientale, aveva deciso di procedere alla raccolta differenziata con carri trainati da asini, evidentemente per non inquinare con gli scarichi dei motori.

L’Avda aveva preparato un documento nel quale si analizzava il livello di resistenza degli asini alla fatica in relazione all’impegno che veniva richiesto e nel quale si sollevavano critiche sul progetto per le troppe incognite che implicava. Infatti una fatica prolungata nel tempo è diversa, ovviamente, da uno sforzo momentaneo e richiede attenzione ad un serie di fattori che vanno oltre il mero conteggio del carico trainato e del tempo di lavoro. Gli equidi, specie a cui appartengono gli asini, sono organismi complessi che abbisognano di attenzioni e cure professionalmente preparate perché si devono seguire alcune precauzioni sia durante il lavoro sia dopo. È noto che occorre, ad esempio, rispettare un tempo di riposo idoneo prima di provvedere a somministrare alimenti e bevande dopo lo sforzo, così come è necessario provvedere a coprire e ad asciugare gli animali sudati. Attenzioni semplici che però diventano fondamentali per mantenere in buona salute gli animali. Anche la qualità dell’alimentazione è importantissima e non solo la quantità. Una delle più facili conseguenze che possono sopravvenire in caso di cure poco assidue è l’insorgenza delle temute coliche, come ben sanno tutti i proprietari di equini, sindromi che possono facilmente portare alla morte dell’animale.

Sono passati solo pochi mesi dall’inizio del progetto e già si vedono gravi conseguenze negative: tre asini sono morti pressoché contemporaneamente e, come risulta dal reperto autoptico, la causa della morte è proprio una sindrome colica, confermando esattamente le preoccupazioni che erano state manifestate in sede di esame del progetto.

I punti critici rilevabili iniziano con la poca attenzione riservata agli animali, infatti il primo asino venuto a morte è stato individuato come sofferente già al mattino ma l’intervento è stato richiesto solo dopo alcune ore, lasso di tempo che poteva servire per un intervento più precoce. Inoltre si è dimostrata particolare incuria poiché al momento del decesso del primo asino, alle 22, non cambia il comportamento e gli altri asini sono rinvenuti morti al mattino senza che ci si sia accorti della gravità della situazione.

Quindi il primo asino, benchè sofferente, non è stato seguito dopo le prime terapie, e ciò è avvenuto o per mancanza di istruzioni da parte di chi ha effettuato la visita o per mancanza di attenzione da parte del conduttore degli animali. Il comportamento appare contraddittorio qualora  si pensi che notoriamente gli equidi sofferenti per fatti colici vanno accuditi e regola aurea è quella di farli deambulare per tenere attive le funzioni vitali e cercare di impedire che si instaurino  fatti agonici.

Una ulteriore osservazione è relativa al fatto che le forme coliche riconoscono molteplici possibilità di cause scatenanti,  delle quali alcune diventano interessanti nel caso in questione.

I testi veterinari ammettono che tra le cause delle forme coliche si possono iscrivere  i trattamenti inappropriati tra i quali vanno annoverati una alimentazione o un abbeveraggio troppo ravvicinati al momento del lavoro e non dopo un adeguato riposo, oppure forme di eccessiva fatica o ancora stati di stress psicofisico.

Nel caso in questione, dati il momento dell’insorgenza della sindrome e il tipo di impiego degli animali, l’ipotesi più plausibile sembra sia un possibile collegamento con il ruolo e il lavoro che gli animali stavano svolgendo, essendo oltremodo possibile che gli asini dopo l’utilizzo non siano stati accuditi con l’attenzione dovuta, riservando ad essi un congruo periodo di riposo prima dell’abbeverata, semprechè l’alimentazione sia sempre stata mantenuta al mattino, lontano dal momento del lavoro.

Il lavoro stesso, poi, ha sicuramente svolto un ruolo importante in quanto si tratta di una caratteristica che avevano in comune tutti e tre gli asini venuti a morte e la fatica conseguente ha certamente svolto una funzione negativa nell’insorgere della sindrome.

Nell’insieme la vicenda mette sotto accusa il sistema in atto di utilizzo degli asini, ricordando che fin dal primo momento l’Avda aveva espresso esplicita preoccupazione.

In particolare alcuni elementi richiedono attenzione, in primo luogo il trattamento complessivo delle forme che hanno provocato la morte e in secondo luogo l’opportunità o meno di proseguire nel progetto di uso degli asini.

L’analisi critica del decorso della sindrome, fa emergere una serie di comportamenti da parte degli addetti e dei responsabili che può sostenere l’ipotesi del reato di maltrattamento per omessa custodia e per mancata attenzione in un momento critico,  infatti, nel caso in questione, l’animale è morto senza che alcuno dei presenti ne abbia visto l’evoluzione grave e appunto mortale.

Ricordando che la presenza di una persona che avesse rilevato il peggioramento della condizione poteva portare ad un ulteriore intervento terapeutico o, al limite, alla somministrazione dell’eutanasia al fine di mettere fine alla sofferenza, se  fosse stata confermata una prognosi infausta. Il comportamento potrebbe essere oggetto di ipotesi di reato ai sensi della legge 189\04 per non aver messo in atto condizioni tali da impedire il dolore e la sofferenza dell’animale, in quanto si può indurre sofferenza evidentemente non solo agendo direttamente contro l’animale ma anche se non si mettono in atto, avendone la possibilità, comportamenti tesi a limitare la sofferenza indotta da cause esterne.

Vi è infine un’altra osservazione possibile: l’inadeguatezza del sistema messo in atto al fine di garantire agli animali la non sofferenza e un utilizzo ottimale.

Una prima carenza, come si evince dallo svolgimento della vicenda, che ha portato alla morte ben tre asini, riguarda il sistema di mantenimento della vigilanza e della presenza degli addetti alla conduzione degli asini che non è stato in grado di svolgere pienamente i suoi compiti dal momento che i tre asini sono  morti in assenza di presenze svolgenti compiti di controllo.

Un’altra grave carenza si rileva a livello di impegno e fatica richiesta agli animali: come detto in precedenza il lavoro e lo sforzo fisico rappresentano un fattore aggravante e scatenante delle sindromi coliche, così come affermano i testi di Clinica medica veterinaria.

L’uso degli asini per il traino dei contenitori per la raccolta differenziata può facilmente superare il livello di sforzo massimo sopportabile dagli animali, per più ragioni. Vi può essere una sottovalutazione dello sforzo richiesto in chi li conduce, e la scarsa attenzione riservata nel momento della sindrome patogena non aiutano certo a formulare ipotesi di attenzione particolare nei confronti delle esigenze degli animali,  vi può essere pure una difficoltà ambientale, legata ad esempio alle condizioni climatiche, troppo freddo o troppo caldo, tutti elementi che potrebbero generare condizioni negative e predisponesti le forme di colica.

Occorre tener presente che in fase di analisi del progetto di raccolta dei rifiuti con l’uso del traino animale da parte di asini ci si era già espressi negativamente presentando in anticipo le possibili conseguenze negative  e dispiace certo dover constatare che i dubbi e i rilievi critici hanno purtroppo trovato una conferma.

Ciò rappresenta una ulteriore aggravante del tipo quanto meno superficiale e poco attenta della gestione degli animali, perché, nonostante le preoccupazioni avanzate non ci si è attivati per impedire che i fatti negativi accadessero realmente.

L’analisi dei fatti accaduti, denunciando gravi problematiche che si sono riversate direttamente sulla salute degli animali, dimostra che il sistema messo in atto non è in grado di garantire la necessaria salute e sicurezza fisica degli animali e solleva molti dubbi sulla possibilità che il sistema possa continuare, infatti le negatività e le morti potrebbero ripetersi e in tal caso andrebbe rivisto anche il livello di responsabilità di chi ha organizzato il servizio e di chi lo gestisce.