Contributo per il Congresso di Medicina Democratica del 16-17-18 febbraio 2012

a cura di Enrico Moriconi 1, Giorgio Serra 2 , Germano Cassina 3, Pietro Luigi Cazzola 4.
1 Medico Veterinario ASL TO3 Collegno, Medicina Democratica
2 Medico Veterinario ASL TO 8 Chieri, Medicina Democratica
3 Medico Veterinario ASL TO14 VCO ** Medicina Democratica
4 Biologo, IZS Piemonte, Sede Vercelli, Medicina Democratica

Premesse

Le trasformazioni avvenute nel secolo passato, nell’ambito delle attività produttive e in quello zootecnico in particolare, sono state enormi. Si è passati da un società prevalentemente contadina caratterizzata da un’economia semplice di tipo familiare ad una società industriale e post-industriale. Vi è stata una forte avanzata del benessere delle popolazioni occidentali nel dopoguerra e anche la zootecnia ha dovuto adattarsi. Al crescere delle domande di prodotti sono state applicate le nuove regole dell’attività industriale: strategie di sfruttamento degli animali sempre più elevate ed utilizzo del modello dell’allevamento intensivo quale unica possibilità per produrre elevati quantitativi di derrate alimentari, riducendo i costi. Gli allevatori, così facendo, hanno modificato il loro naturale rapporto con il contesto ambientale e inseguendo le logiche del profitto hanno sfruttato gli animali a livelli antifisiologici. Questo modello di sviluppo agricolo tumultuoso ha cambiato il territorio, imponendo una coltivazione praticamente unica in pianura padana, trasformandola così in un immenso campo di mais necessario a sostenere l’alimentazione di animali adatti a mantenere elevato il livello produttivo.

            Le aziende per sopravvivere ad una competizione di mercato forte hanno dovuto adattarsi, aumentando il numero di animali presenti in azienda, utilizzando a fondo le riserve di lavoro presenti in famiglia e indebitandosi per aumentare le propria penetrazione sul mercato. Gli investimenti nelle strutture, nei macchinari più moderni, nella genetica per produrre di più con un numero eguale di animali, hanno dovuto essere comunque supportate da sostegni comunitari rilevanti, per produrre un latte che vedeva diminuire il prezzo alla stalla mentre aumentavano i costi.

            I territori hanno subito trasformazioni importanti, in quanto le centinaia di allevamenti familiari presenti nell’immediato dopoguerra ed ancorati a piccole unità territoriali, dove il fine era unicamente il soddisfacimento delle esigenze primarie di una famiglia o poco più, non hanno potuto reggere ad una società che richiedeva un tenore di vita più. È stato necessario trasformare la unità produttive per renderle adeguate alle regole del mercato, diminuendo esponenzialmente il numero di allevamenti e concentrandoli.

            In questo contesto si è perduta la cultura contadina che utilizzava l’animale per un ciclo vitale più lungo, fino a 20 anni e talvolta fin quasi alla fine della vita biologica, l’utilizzo quotidiano degli animali per il lavoro e per le ridotte produzioni di quel tipo di allevamento, si avvicinava al loro ciclo vitale, anche perché l’animale rappresentava spesso l’unica fonte di reddito e non vi erano modelli imprenditoriali più aggressivi.

            La costruzione di contenitori di animali, vuoi per le produzione di latte vuoi per la produzione di carne, dettata dalla necessità di sostenere l’allevamento intensivo, ha dovuto fare i conti con altri problemi tra i quali merita citare la medicalizzazione degli allevamenti ed il benessere degli animali.

            Animali che sono costretti in spazi ridotti e stressati per le forti produzioni, più facilmente si ammalano e l’allevatore è costretto ad utilizzare il “farmaco”, che è stato adoperato spesso anche fraudolentemente per incrementare le produzioni stesse. L’utilizzo corretto dei farmaci, da un lato rappresenta un aggravio di costi necessario per l’azienda e dall’altro impone metodiche di attenzione e “controllo” sul suo utilizzo per non creare situazioni di pericolo sulla salute pubblica, ma con ulteriori costi sulla collettività.

           

            I problemi connessi agli allevamenti intensivi, però, non sono stati immediatamente individuati e sono occorsi anni prima che gli effetti del nuovo sistema fossero compresi.

            Già negli anni ottanta però si erano sollevate le voci che analizzavano il sistema degli allevamenti industrializzati sottolineandone le criticità collegate.

            Alle voci indipendenti e non schierate aprioristicamente che negli anni avevano richiamato l'attenzione sulla diverse conseguenze ambientali connesse agli allevamenti intensivi si sono poi aggiunte le posizioni ufficiali. Ad esempio un articolo pubblicato su “La Repubblica” del 28 gennaio 2003 riassumeva efficacemente il problema:“La bistecca fa male alla Terra l'effetto serra ci cambia la dieta- di MARK BITTMAN -28 gennaio 2003) New York- Queste vere e proprie catene di montaggio della carne, che partono dalle fattorie, consumano quantità smisurate di energia, inquinano l'acqua e i pozzi, generano significative quantità di gas serra, e richiedono sempre più montagne di mais, soia e altri cereali, un fatto che ha portato alla distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali”

 

            In seguito anche la FAO ha focalizzato il tema con il documento Livestock's Long Shadow del 2006.

 

          Di seguito si propone una descrizione riassuntiva delle criticità degli allevamenti industrializzati relativamente agli aspetti ambientali, sociali e anche alle conseguenze per la salute umana

 

Consumo di suolo e inquinamento. La catena energivora

La produzione di mais, frumento, soia e riso ammonta a circa 2 miliardi di tonnellate all'anno, con variazioni inevitabili a seconda delle condizioni atmosferiche, e di questi una parte, tra il 40 per cento e la metà, serve unicamente per alimentare gli animali degli allevamenti intensivi, che sono stati trasformati in mangiatori di cereali mentre in natura le varie specie avevano diete diverse.

Poiché la maggior parte delle proteine animali (carne e derivati) viene destinata ad una minima parte della popolazione mondiale che ne fa uso in abbondanza, circa 1,5 miliardi appartenenti alla parte “ricca” della popolazione, ne discende che questi consumano una quantità esorbitante di cereali che potrebbero servire direttamente per l'alimentazione umana.

In Italia la superficie cerealicola non sarebbe sufficiente, se seminata solo a mais, neanche ad alimentare gli animali allevati, ed infatti si importa più della metà del fabbisogno.

 

Poiché, inoltre, la domanda è in crescita continua, questo stimola la deforestazione in quanto si trasformano le foreste tropicali, uniche rimaste nel mondo, in pascoli e seminativi: Gli allevamenti sono fra i principali responsabili della deforestazione, ad esempio in America Latina dove il 70 per cento delle ex foreste in Amazzonia sono state rase al suolo e sostituite da pascoli”. (Rapporto Livestock's Long Shadow della FAO del 2006 ).

 

In consumo di cereali è elevato perché nel passaggio cereali-animali-uomo si perdono quote importanti di alimento; un bovino, ad esempio, per crescere di un chilo ha bisogno fino a 20 chili di cibo.

 

Inaridimento.

            La produzione di fertilizzanti nel mondo è passata da 15 milioni di tonnellate negli anni '50 a 140 nel 2000. Le concimazioni chimiche dei cereali (ed anche degli altri seminativi in verità) riducono la presenza dell’humus, pertanto la terra perde sostanza organica e si inaridisce: il 40% della pianura padana è a rischio presentando una quantità di materia organica inferiore al 2%.

Il processo è comune in tutte le zone agricole sottoposte ad un intensa richiesta produttiva sostenuta dalle concimazioni chimiche.

La responsabilità degli allevamenti intensivi è chiaramente dovuta al fatto che la zootecnia è uno dei maggiori “clienti” in tema di acquisti di cereali.

 

Inquinamento

Le monoculture, indispensabili per produrre i cereali richiesti dal mercato, necessitano di un elevato aiuto chimico. I pesticidi rappresentavano un Pil di 2 milioni di dollari nel ’50 salito a 140 milioni nel ’99 e a 150 milioni nel 2007 (Raj Patel “I padroni del cibo”)

Queste sostanze vengono in parte assunte dagli animali, in parte rimangono nei terreni e nelle acque dove contribuiscono ad alterare l’ecosistema.

 

Consumo e inquinamento delle acque. I nitrati nell’ambiente

La filiera zootecnica è poi uno dei settori che più pesano sulla crescente scarsità di risorse idriche, contribuendo sia al loro prelievo che al loro inquinamento, soprattutto per le deiezioni animali, con i residui di antibiotici e ormoni, le sostanze chimiche provenienti dalle concerie, e, a monte, i fertilizzanti e i pesticidi utilizzati per irrorare le colture da mangime.

Gli allevamenti intensivi concentrano anche le deiezioni in poche aree dove l’inquinamento diventa altissimo. Si calcola che gli animali allevati in pianura padana scarichino un quantitativo di inquinanti equivalente ad una popolazione aggiuntiva di circa 126 milioni di persone! In altre parole un suino inquina da 4 a 6 metri cubi di acqua al giorno!

Un tempo si usava il letame che era un buon concime e meno inquinante, oggi le deiezioni si presentano in forma liquida, addizionate di acqua che aumenta il potere inquinante e diminuisce l’effetto concimante.

La presenza di azoto e fosforo nelle falde si scarica poi nei corsi d’acqua dove determina il fenomeno dell’eutrofizzazione, cioè di un accumulo di elementi nutrienti che attaccano la biodiversità in quanto fanno prosperare alcune specie di alghe a detrimento di altre per cui diminuisce il numero delle specie e di fatto la biodiversità si riduce fino a scomparire quasi del tutto. Si arriva così ad una condizione che viene definita di morte biologica, e come succede già in diverse parti del globo, ad esempio nel Mar Giallo ma anche l’Adriatico non sta bene.

 

Consumo di acqua.

Le coltivazioni cerealicole devono essere irrigate: un tonnellata di mais necessita di almeno mille tonnellate di acqua. Produrre un chilo di carne bovina significa consumare circa 13.000 litri d’acqua, ma il prof. Veronesi alza la quota a 35.000!, e un chilo di carne suina circa 4.300.

L’irrigazione intensa per le coltivazioni lascia nel terreno sali minerali che non riescono ad essere asportati dai vegetali, il loro accumulo porta alla salinizzazione e al deterioramento delle terre, si calcola così che : la salinizzazione colpisce 20-30 milioni degli attuali 260 milioni di ettari di terre irrigate.

 

Inquinamento aria

Il bestiame produce globalmente più gas serra del settore dei trasporti: il 18 per cento del totale, in termini di CO2 equivalente. Se si includono le emissioni legate all'uso dei suoli e
al cambiamento nell'uso dei suoli, il settore zootecnico è responsabile del 9 percento della CO2 imputabile alle attività umane, e di una percentuale molto maggiore di altri gas serra: il letame esala infatti il 65 percento degli ossidi di azoto, il cui potenziale climalterante è 265 volte maggiore di quello della CO2. Inoltre, è responsabile del 37% del metano da attività umane, in gran parte prodotto dal sistema digestivo dei ruminanti, e del 64 percento dell'ammoniaca, che contribuisce significativamente alle piogge acide. (Rapporto Livestock's Long Shadow della FAO del 2006 ).


           
I gas del rumine sono formati da CO2, Ch4 e N2, e vi possono essere tracce di ossigeno, idrogeno, H2s, e CO. La produzione di gas aumenta considerevolmente dopo il pasto e puo’ raggiungere , nel bovino adulto, da 25 A 35 Litri all'ora (Erich Kolb, Fisiologia animali domestici).

 

 

Consumo di energia (petrolio)

E' stato calcolato che un chilo di carne bovina richieda la quantità di 9 chili di petrolio per essere prodotta. I carburanti servono per produrre i concimi e i pesticidi necessari per i creali di cui si nutrono gli animali, per la coltivazione dei seminativi, per l'energia necessaria alla macellazione e per la movimentazione dei bovini e dei prodotti da loro derivati.

Calcolando la quantità media di carne consumata, circa 35 pro capite all’anno, nel mondo si può stimare un consumo di 300 milioni di barili pari ad un sesto del consumo totale di petrolio nel mondo cioè il 15 %.

 

Ogm in agricoltura.

La spinta produttiva facilita l’introduzione delle coltivazioni geneticamente modificate. In Italia nel 2003 sono stati individuati migliaia di ettari di mais geneticamente modificato. Già ora, mais e soia modificati possono essere usati nell’alimentazione degli animali. Chi mangia carne non biologica deve sapere che consuma anche semi di cereali modificati

 

Conseguenze sociali

            Un’altra conseguenza è la chiusura dei piccoli allevatori in quanto diminuendo il margine di guadagno, tra spese crescenti e ricavi in diminuzione, le aziende di dimensioni ridotte sono costrette a chiudere, fenomeno inarrestabile da alcuni anni a questa parte.

            Inserita nei temi della globalizzazione, anche la zootecnia intensiva è soggetta alla delocalizzazione degli allevamenti che, infatti, già vengono spostati dai paesi occidentali a quelli orientali o del terzo mondo, dove i costi sono inferiori e le normative che regolano la produzione sono più carenti,; questo determina problemi di inquinamento, ma anche di maggior sfruttamento degli animali che normalmente in questi paesi non sono soggetti a tutela.

Da quei paesi poi le carni e i derivati vengono importati in occidente.

 

Chi ci guadagna: le multinazionali

            Se non si analizza con attenzione non si riesce a comprendere il meccanismo che sostiene il sistema e chi ci guadagna. Con i dati però si capisce che il vero interesse è tutto delle multinazionali.

Cinque società (State of the Word del 2002) controllano il 65% del mercato globale dei pesticidi; cinque società controllano il 75% del mercato globale delle sementi in genere, ma 2 cartelli Cargill/ Monsato e Archer Daniel Midlands/ Novartis ne controllano il 60%, cinque imprese leader di commercio di cereali controllano oltre il 75% del mercato globale. Sono la Cargill (Usa), Archer Daniel Midlands (Usa), Louis Dreyfuss (Francia, Usa), Bunge (Usa) , Andrè (Svizzera). (Repubblica 23/8/02).

L’importanza del settore è rappresentato da alcune cifre, ad esempio il valore globale dell’agrochimica : 2 miliardi di dollari nel 1950, 30 miliardi nel 1999 ( State of the word) e 35 nel 2004 (Raj Patel ); 2 cartelli Cargill / Monsato e Archer Daniels Midlands / Novartis controllano il 75% del mercato globale (Repubblica 23/8/02)

 

 

Nel mondo:

le prime quattro aziende nella lavorazione della carne di manzo nel mondo nel 1990 detenevano il 70% del commercio e sono arrivate a poco più dell’80 per cento nel 2002.

Per la carne di maiale sempre le prime quattro aziende commerciavano nell’82 circa il 38% del totale per arrivare nel 2004 a circa il 61%.

Per i polli in batteria si è passati dal circa il 38% nel 1987 al 62 % nel 2003.

Per i tacchini si è passati dal 30% nel 1986 l 50%nel 2003.

Infine le prime quattro aziende di supermercati gestivano il 2% delle vendite nel 1997 e sono arrivate al 43% nel 2004. ( Raj Patel “I padroni del cibo”)

 

State of the Word del 2002 riporta questi dati:

Una azienda controlla più del 60% degli acquisti di pollame in Centro America.

Negli Usa 4 società controllano il confezionamento dell’ 80% della produzione di carne bovina e 5 società il 75% di quella suina.

 

 

Diminuzione delle aziende e aumento delle superfici agricole

Poiché il sistema determina una forbice nella quale sono inseriti i contadini, tra prezzi crescenti delle materie di utilizzo, dai semi ai fitofarmaci agli stessi beni di consumo come i carburanti, e la diminuzione del valore dei prodotti da loro venduti, le aziende che meglio riescono a sopravvivere sono quelle che fanno economie di scala. Come detto in precedenza le piccole aziende sono penalizzate maggiormente e o riescono a coltivare prodotti speciali o a realizzare sistemi produttivi particolarmente efficienti ed efficaci o sono costrette a chiudere.

I dati relativi agli Usa dicono che negli anni ’40 vi erano circa 6,3 milioni di fattorie che avevano una estensione media 200 acri (un acro circa 4046 metri quadri) mentre nel 2000 le aziende erano diminuite a circa 2 milioni e l’estensione passata 450 acri circa. (Raj Patel “I padroni del cibo”).

Il sistema porta anche ad uno sfruttamento dei salariati che operano nel settore, così negli Usa, in California, la paga dei salariati agricoli è di 7,69 dollari all’ora se sono in regola gli irregolari guadagnano anche meno. (Raj Patel idem).

 

Un esempio: la concentrazione delle aziende in Piemonte.

Il processo di concentrazione delle aziende è comunemente diffuso, d’altronde il Ministro Usa all’Agricoltura negli anni ’60 lanciava la parola d’ordine “Ingrandirsi o sparire”.

In Piemonte si visto diminuire in pochi anni il numero di aziende agricole del 20,5 per cento e parimenti crescere l’incidenza delle aziende con almeno 20 ettari di Sau, una soglia in media con quella europea.

Sempre in Piemonte, nel settore zootecnico, negli anni dal 2005 al 2007 le aziende di allevamento bovino sono diminuite di 1033 unità, da 18874 a 17841 con un calo percentuale del 5,5 % e il numero dei capi allevati è aumentato di circa il 3 per cento nello stesso periodo di tempo.

Cioè i dati dimostrano che anche in questa regione è presente in fenomeno della penalizzazione delle piccole aziende che sono assorbite da altre più grandi.

 

            Salute umana.

            Gli allevamenti intensivi vivono sulla somministrazione di farmaci, sopratutto antibiotici (che sono consentiti) e anabolizzanti (vietati). Gli antibiotici prodotti in Europa sono circa 13000 tonnellate all’anno e di questi la metà, circa 6.500 tonnellate, viene data agli animali. Un bovino mangia, in 18 mesi circa, una quantità di sostanze chimiche pari a circa 5 chili. Antibiotici e sostanze chimiche finiscono nei piatti dei consumatori oltre che nell’ambiente.

Coloro che mangiano i prodotti derivati da questi animali possono andare incontro a fenomeni di antibiotico resistenza, un problema in crescita negli ultimi anni. Altri rischi, legati all'alimentazione carnea di allevamento intensivo sono connessi alla presenza di ormoni anabolizzanti, beta agonisti e alla possibilità di sviluppare forme tumorali, cardiopatie e intossicazioni (in particolare gli addetti).

I problemi legati alla salute sono quelli che allarmano maggiormente l'opinione pubblica, che viene costantemente tranquillizzata, dalle autorità e dai produttori, con il richiamo ai numerosi e qualificati controlli ai quali sarebbero sottoposti gli animali e i prodotti da essi derivati. In realtà la strada dei controlli è totalmente inefficace di fronte a consumi e produzioni sempre crescenti e allo strapotere delle multinazionali della chimica. Il problema dei controlli è la quantità da controllare; solo per fare qualche piccola cifra, si tratta, nel settore zootecnico, di analizzare più di 700 milioni di animali macellati ogni anno in Italia e 18 milioni di tonnellate di mangimi per animali. Inoltre i produttori di sostanze proibite sono in grado, cambiando semplicemente una molecola o un legame chimico di rendere totalmente vani i controlli di laboratorio. Se una sostanza è sconosciuta non può essere rintracciata. Basti pensare che attualmente esistono in commercio decine di molecole somministrate agli animali per aumentare la loro crescita, ma solo una quindicina di queste sono conosciute e dunque cercate nei laboratori degli istituti zooprofilattici. Il mercato ha risolto il problema con l'autocontrollo ad opera delle stesse industrie. Questo però è totalmente legato alla responsabilità dei produttori e non garantisce affatto i consumatori.

 

Conseguenze sociali a livello mondiale

la crescita della produzione sia di vegetali, sia di prodotti a base di proteine animali non riesce a combattere il problema della fame del mondo e, anzi, invece di vedere diminuire il numero degli affamati, questo aumenta continuamente.

In ultimo, nei primi giorni del 2012, di fronte al temuto prolungarsi e aggravarsi della crisi economica mondiale, è stato lanciato l'allarme sulla possibilità che questa faccia risentire le sue conseguenze in misura più grave sulla parte povera della popolazione mondiale e che aumentino ancora, nel prossimo futuro, le persone che non riescono a raggiungere la sicurezza alimentare di poter mangiare (mentre nei paesi ricchi per sicurezza alimentare si pensa solo alla salubrità dei cibi).

 

Conclusioni

La crescita degli allevamenti intensivi è stato un evento importantissimo nella storia dell'agricoltura, di fatto una rivoluzione epocale che ha contribuito a industrializzare il settore, infatti la richiesta di cereali anche per gli animali ha sicuramente accelerato la “rivoluzione verde” degli anni sessanta basata sulle concimazioni chimiche.

Un altro segnale di innovazione è stata la globalizzazione del settore che, nonostante i dazi sulle merci, quando ancora esistevano, faceva già circolare gli alimenti per tutto il mondo.

L'agroindustria e la zootecnia industrializzata hanno ugualmente seguito l'evoluzione neoliberista dell'economia mondiale che ha portato non già a maggiore giustizia ed equità ma ad un maggiore disuguaglianza tra le parti ricche e povere della popolazione mondiale, segnando il passaggio per moltissime persone dalla povertà, a volte decorosa, alla miseria più indicibile.

            Oggi il settore lancia segnali di un futuro preoccupante per coloro che li vogliono cogliere, in particolare denuncia un allarmante avvicinamento al limite produttivo mondiale, parallelamente a quanto avviene per altre materie prime.

L'allargamento delle coltivazioni in nuovi terreni sta ormai coinvolgendo le foreste pluviali tropicali, vera fonte di sopravvivenza per il pianeta intero, ma la fame di terra, stimolata dal mercato e non governata a livello amministrativo da politici troppo poco indipendenti dalle lobbies economiche e finanziarie per dettare norme di salvaguardia, non riesce a individuare soluzioni ambientalmente e socialmente più eque e sostenibili.

           Certamente, è nella natura umana proporre sempre nuove soluzioni produttive, innovazioni, cambiamenti, e di comprendere i problemi solo quando questi si presentano effettivamente, però il consumo di suolo da parte dell'agricoltura e dell'allevamento è un dato di fatto reale e molto più evidente di quello che accade in altri settori.

           Si deve aggiungere che l'aumento futuro della popolazione terrestre (prevista fino a 9 miliardi di individui) e della domanda di proteine animali impone delle riflessioni su quale possano essere le scelte per rispondere ai problemi che inevitabilmente a tale processo sono collegate.

 

           Non si può dimenticare che, accanto alle ipotesi di aumento produttivo ricorrendo a tecnologie quali l'utilizzo di organismi geneticamente modificati per incrementare le rese, ancorchè i tentativi fin qui fatti non abbiano dati risultati incoraggianti, da parte di studiosi e ricercatori il problema è affrontato anche con approcci diversi, essendovi chi propone carne ottenuta sinteticamente con il lavoro di batteri oppure altri che ipotizzano nel futuro, per soddisfare la richiesta di proteine animali, un consumo di insetti in Europa e Nord America, come già avviene praticamente in tutto il restante pianeta. Su La Repubblica del 24 gennaio 2012 si legge “A tavola nel 2050 tra alghe e locuste - “così nutriremo 9 miliardi di persone”. Dopo la rivoluzione verde per moltiplicare la produzione agricola ecco una nuova emergenza per il pianeta. Gli scienziati puntano a soluzioni insolite e la Ue ha stanziato un fondo di 3 milioni per ogni paese europeo che usi insetti in cucina....poichè non è verosimile aumentare gli allevamenti di carne naturale ( le mucche occupano già un quarto di tutte le terre coltivabili e creano un micidiale quantitativo di gas nocivi).

            Se si ragiona quindi sulle necessità e sulle prospettive, le criticità del sistema zootecnico intensivo devono avere maggiore attenzione di quella fin qui ottenuta a livello di decisioni politiche poiché, se è nella natura umana proiettarsi nel futuro con innovazioni produttive, è altresì vero che i problemi attuali di limitatezza delle risorse sono un argomento che per la prima volta nella storia dell'umanità assume una importanza così grande.

          

           Sarebbe pertanto indispensabile che a livello decisionale le scelte mirassero a coniugare il sistema produttivo nell'agrozootecnia con le problematiche ambientali e sociali evidenziate.