“Una mela al giorno toglie il medico di torno” diceva un proverbio e il messaggio contenuto è tuttora valido: per la salute conta più la prevenzione della cura. Peccato che oggi il valore dei due  termini del binomio si sia invertito e si punti di più sulle terapie. Per esemplificare si può rimanere in ambito nutrizionista.

Gli istituti italiani e internazionali di cura dei tumori sono concordi su di un punto: considerate le più recenti evidenze si può grossolanamente stimare che circa un terzo dei tumori sarebbe evitabile cambiando la dieta, ovvero in altre parole che non meno del 20% e non più del 42 % delle morti per cancro sarebbero evitabili cambiando il modo di alimentarsi. Queste parole sono del dr. Ferrero oncologo di un ospedale torinese.

E per cambiamento si intende una sterzata verso il vegetarianesimo o il veganismo, escludendo dall'alimentazione i prodotti di origine animale, soprattutto le carni rosse.

Questi dati sono ormai disponibili a tutti i livelli, dal WCI (Word Cancer Institute) all'Istituto dei Tumori di Milano o alle ricerche del dr. Berrino, senza dimenticare Veronesi che di questa proposta ne ha fatto quasi una ragione di vita.

Non si tratta evidentemente di komeinisti della difesa degli animali, avanguardie del vegetarianesimo etico per risparmiare le sofferenze degli animali ma di suggerimenti e indicazioni da parte di chi opera tutti i giorni professionalmente per cercare di ridurre il dolore delle persone.

Sono state anche fondate associazioni per insegnare alle donne, principalmente a loro  ma l'insegnamento è libero a tutti e gli uomini dovrebbero essere ugualmente interessati, come si può cucinare con gusto evitando i prodotti di origine animale.

Le ricerche mediche sono iniziate relativamente al cancro mammario, principalmente patologia femminile ma che occasionalmente può colpire gli uomini, ed hanno evidenziato come una dieta priva di proteine animali giovava nel ridurre le ricadute del cancro al seno nelle operate ma non solo, si dimostrava ugualmente efficace per prevenire la forma primaria e non solo del cancro al seno ma anche di quello al colon. Ricerche che si sono svolte in svariate nazioni europee e mondiali, dagli Usa all'Italia.

Ebbene ci sono notizie di ciò nell'informazione pubblica sia stampata sia radio televisiva? Poco o nulla.

La sordina è imposta dalla fortissima lobbie a capo della filiera dei prodotti animali, alla quale partecipano le multinazionali della chimica che controllano non solo il commercio di quasi tutti le sostanze chimiche indispensabili nella coltivazione dei vegetali e dei cereali di cui si nutrono gli animali, ma detengono pure il monopolio delle molecole chimiche direttamente somministrate, come antibiotici e cortisonici, per non parlare delle sostanze illecite come gli anabolizzanti.

Con i soldi della pubblicità, indispensabili per i media stampati e radiotelevisivi, impongono che tali notizie siano relegate al margine, e rimangano poco in scaletta, fornite in modo poco attraente. Poco spiegate nel loro significato.

Anzi, se per caso si è costretti a ritornarvi sopra con una certa frequenza, come nel caso in cui siano enti internazionali come la Fao o l'Onu a esprimersi su tali argomenti,  ci si  affretta a predisporre un servizio di “spiegazione” ad opera dei soliti esperti ben remunerati, alcuni dei quali vivono quasi stabilmente in Rai e nelle Tv private. In tal caso con belle e  fluenti parole si spiega che nel consumo normale non c'è pericolo e che tutti possono tranquillamente continuare le loro abitudini, mangiando carne, che anzi fa bene come i suoi derivati.

Tutto ciò è quasi naturale perchè senza pubblicità i mezzi di comunicazione non riuscirebbero a sopravvivere, anche per i compensi multimilionari in euro che erogano.

Perchè una lunga spiegazione per ricordare che prevenire il cancro si può cambiando la dieta e lo stile di vita? È ugualmente possibile perseverare nell'errore dietetico e semmai ricorrere al momento del bisogno ai farmaci antitumorali il cui costo, elevatissimo in milioni di lire, fa “bene” alle multinazionali del farmaco.

Perchè consumare meno proteine del latte  bovino che acidificano il sangue e obbligano l'organismo a tamponare il pH prelevando calcio dalle ossa e quindi mettendo le basi dell'osteoporosi? Perchè la fatica del cambiamento di alimentazione se esiste lo yoghurt che serve proprio a rinforzare le ossa, come ricorda una pubblicità che certo è più ascoltata dei consigli medici. Pubblicità che alla luce delle ricerche scientifiche sul tema si potrebbe definire ingannevole.

E se le donne si sentono “gonfie” non è il caso di cambiare dieta, introducendo magari una porzione più abbondante di fibre, no, è sufficiente acquistare uno yogurt di altro tipo e tutto va a posto.

Pochi esempi dei molti possibili che dimostrano il poco interesse per la prevenzione, bella parola da spendere negli interventi e nei programmi, salvo poi dimenticarla quasi subito.

Purtroppo la prevenzione è una rovina per l'economia. Le industrie dovrebbero rivedere i loro sistemi produttivi, le imprese inquinanti investire nel miglioramento dei loro procedimenti, mentre il ricavo potrebbe addirittura diminuire.

Perchè diminuire il consumo di carne e soprattutto di carni rosse, mettendo in crisi la filiera dell'allevamento industriale zootecnico e le multinazionali della chimica?

È meglio lasciare che l'economia faccia il suo giro e che tutti ne abbiano il tornaconto. E pazienza  per chi è colpito dalla malattia. Ragionamento assai attuale di questi tempi, nei quali il Pil è certo più importante del diritto alla salute. Anzi probabilmente qualcuno potrebbe dire che il Pil vale più della salute, perchè se non cresce l'economia ....

Per la carne, come quasi tutte le attività produttive, vale il discorso fondamentale di questa società: più della salute, e della prevenzione, valgono i principi economici. Così le polveri sottili sono argomento di discussione scientifica e nulla più e allo stesso modo sono trattate le onde elettromagnetiche e tutto quanto potrebbe disturbare il progredire della nostra società.

Pertanto non ci si deve stupire che Renzo Fossato, confermato per acclamazione alla presidenza dell'Uniceb, la sigla che riunisce gli importatori di bestiame  e di carni bovine, oltre alla solita litania di lamentele relative alle difficoltà del settore, che forse qualche milione di euro in meno lo ha guadagnato - ma certo non ha indagato sulla possibile, inevitabile e fisiologica evasione fiscale all'italiana, non dimostrata ma più che presumibile - abbia annunciato l’impegno dell’Unione europea per promuovere ogni azione per rilanciare il consumo di carni rosse.

Come dire, nella più benevola delle ipotesi, che i burocrati europei non conoscono le ricerche dei medici oncologi oppure che i denari delle lobbies aiutano a leggere solo i bilanci della filiera zootecnica piuttosto che i report medici.

Approfittando dell'occasione, l'assemblea Uniceb non si è fatta mancare niente e così si è pure riusciti a contraddire gli studi ambientalisti sulle ricadute negative dell'allevamento bovino, responsabile, è bene ricordalo, dell'effetto serra più di tutti i  trasporti mondiali.

Nessuna paura, il professore di turno, Samuele Trestini, ricercatore della facoltà di Agraria dell’Università di Padova, ha fatto chiarezza, la sua certamente, “in un campo che vede l’allevamento del bestiame sotto accusa in modo sovente ingiustificato”.

Questo è lo stato dell'arte: una società che continua a viaggiare su due binari, che non si incrociano. Si conoscono le cause di alcune problematicità ma per il bene dell'economia si sacrifica la salute.

Se la prevenzione è la soluzione per una migliore salute, ma è contraria alle richieste del mondo imprenditoriale, allora invece di prevenire – e risparmiare -  è meglio costruire “La città della salute” , come ad esempio si vuole fare a Torino, ovvero gli ospedali che pongono rimedi costosi ai danni alla salute indotti dalle scelte miopi e dannose.